Riforme - Jobs act - CSDDL.it - Centro Studi Diritto Dei Lavori Centro Studi Diritto dei Lavori - Bisceglie - A cura dell'Avv. Antonio Belsito e del Prof. Gaetano Veneto http://www.csddl.it/csddl/contratti-di-lavoro/2.html Fri, 12 Mar 2021 13:24:12 +0000 Joomla! 1.5 - Open Source Content Management it-it Il contratto a termine http://www.csddl.it/csddl/contratti-di-lavoro/il-contratto-a-termine.html http://www.csddl.it/csddl/contratti-di-lavoro/il-contratto-a-termine.html Il contratto a termine 

di Rossella Vangi* 

1.    Dall’attuazione dalla direttiva 1999/70/CE al d.lgs. n. 368/2001 ed alla riforma Fornero

In Italia l’ingresso del binomio flessibilità-precarietà può essere ricondotto, tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, alla crisi del sistema industriale taylor-fordista (in cui l’impresa è il luogo centrale delle decisioni strategiche relative alla produzione) ed al successivo ed improvviso passaggio al sistema post-industriale, basato sul principio del just in time (in cui il luogo strategico delle decisioni diviene il mercato).

Il sistema just in time garantisce la continua e perfetta simmetria tra l’offerta dei beni prodotti e la domanda che proviene dal mercato: tutti i fattori produttivi devono essere acquisiti e arrivare in produzione nel preciso momento in cui ce n’è bisogno e nella quantità necessaria.Tale principio impone l’esigenza della flessibilità organizzativa ed operativa all’interno delle imprese, più precisamente l’impresa deve diventare un’entità elastica, a morfologia variabile. In questo contesto si inserisce la direttiva comunitaria 1999/70/CE del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato[2].

L’obiettivo della direttiva era quello di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione e creare allo stesso tempo un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti a tempo determinato.Benché l’ordinamento italiano fosse già sostanzialmente conforme ai principi enunciati nella Direttiva, il Legislatore ha dato espressa attuazione alla stessa emanando il d.lgs. n. 368/2001 (più volte successivamente modificato) il quale, dopo avere abrogato espressamente la l.  n. 230/1962, ha regolato ex novo la materia. Precisamente si è previsto, oltre che condizioni meno stringenti per l’apposizione del termine al contratto di lavoro (sostituendo il sistema basato sulla tassatività delle ragioni di cui alla l. 230/62, che la regola secondo cui può essere adottata tale tipologia di contratto in presenza di ragioni di carattere, tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, purché specificate in un atto scritto), sanzioni diverse per la violazione dei limiti dalla stessa previsti, stabilendo una normativa speciale in caso di prosecuzione di fatto del rapporto oltre la data di scadenza o in caso di successione di contratti senza soluzione di continuità o con intervalli inferiori ai limiti dalla stessa previsti (cfr. art. 5 d.lgs. 368/01).Inoltre il citato d.lgs. ha lasciato spazio alla tutela di diritto comune (ed in particolare quella prevista dall’art. 1419 comma 2 cod. civ., comportante la riqualificazione a tempo indeterminato del rapporto, con sua conversione ex tunc in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato) nei casi in cui il termine viene apposto in violazione di divieti legali o per ragioni solo formalmente indicate nel contratto, ma insussistenti in concreto.

Il quadro è stato ulteriormente modificato dalla l. 92/2012 (c.d. legge Fornero), con la previsione di un «primo rapporto» a tempo determinato "acausale" e di durata massima di 12 mesi, che di fatto rafforza il lavoro a termine come contratto di ingresso nel mondo del lavoro in assenza di ragioni oggettive che possano giustificare la sua stipulazione.In questo modo il contratto a termine diventerà la forma generale di prima assunzione, scoraggiando la costituzione di rapporti stabili con apposizione del patto di prova. Lo stesso Ministero del Lavoro in una Circolare del 2012 afferma che la finalità del primo rapporto “acausale” é quella di verificare le «attitudini e capacità professionali del lavoratore in relazione all’inserimento nello specifico contesto lavorativo», confermando come il nuovo contratto svolga la medesima funzione del patto di prova. Prima della l. 92/2012 la prima assunzione doveva essere effettuata con un rapporto fondato su esigenze temporanee (secondo l’interpretazione accolta anche dalla giurisprudenza per tutti i contratti a termine, incluso quello di inserimento) e con l'obbligo di realizzare le (modeste) esigenze formative contenute nel «progetto individuale di adattamento delle competenze professionali» definito dalla contrattazione collettiva. Inoltre la legge prevedeva limiti soggettivi (con riferimento specifico anche ai giovani ed ai datori di lavoro) ed oggettivi (in relazione, ad esempio ai rapporti di lavoro stabilizzati quale condizione di accesso all'istituto). Oggi, al contrario, tutta questa normativa è stata eliminata ed è autorizzato un contratto a termine assai lungo, senza causale giustificativa, privo di qualsiasi obbligo formativo e di conversione in lavoro stabile dei contratti precari già stipulati. Da quanto detto la "precarietà in entrata" nel mondo del lavoro è destinata ad aumentare e la nuova disciplina non è certo tale da poter attribuire al lavoro stabile il ruolo di “contratto dominante”, almeno quale strumento di ingresso al lavoro[3].

La Riforma Fornero ha introdotto nel d.lgs. n.368/2001 il comma 1 bis, dopo aver precisato che il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro, il quale prevede “la possibilità di stipulare un «primo rapporto a tempo determinato di durata non superiore a 12 mesi, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualsiasi tipo di mansioni, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nel caso di prima missione nell'ambito della somministrazione di manodopera”. Questo contratto non ha bisogno delle esigenze tecniche, produttive, organizzative o sostitutive previste per tutti i rapporti a termine ed è quindi "acausale".Tuttavia è sempre necessaria la forma scritta ad substantiam, perché la deroga riguarda solo le «ragioni» per cui si stipula il contratto e non modifica la prima parte del comma 2 dell’art. 1 del d.lgs. 368/2011 (l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto). Inoltre il «primo rapporto» non può essere prorogato, perché la proroga presuppone «ragioni oggettive» che sono assenti nel primo contratto a termine acausale, oltre che per il carattere eccezionale e derogatorio di quest’ultimo rispetto a quello ordinario, fondato su necessità temporanee di lavoro[4]. Difatti l’art. 4 del d.lgs. n. 368/2001, così come modificato dalla legge Fornero conferma che: "Il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi la proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere superiore ai tre anni. L'onere della prova relativa all'obiettiva esistenza delle ragioni che giustificano l'eventuale proroga del termine stesso è a carico del datore di lavoro. Il contratto a tempo determinato di cui all'articolo 1, comma 1-bis, non può essere oggetto di proroga".

Quanto sopra descritto è perfettamente in linea con la ratio della riforma  che è quella non di contrastare l’utilizzo del contratto a tempo determinato in sé, ma piuttosto l’uso ripetuto e reiterato per assolvere ad esigenze a cui dovrebbe rispondere il contratto a tempo indeterminato. Difatti non è possibile stipulare un contratto acausale quando tra le parti vi sia già stato un primo rapporto lavorativo. Più precisamente la Circolare Ministeriale n. 18/2012 conferma il divieto di stipula del contratto acausale quando tra le parti vi sia stato “già un primo rapporto lavorativo di natura subordinata”, lasciando quindi aperta la possibilità di avere una assunzione a tempo determinato se in precedenza vi erano stati contratti di lavoro autonomo. Comunque, la finalità di “contratto di ingresso” del lavoro a termine senza giustificazione, l’intento della legge di ridurre la precarietà del lavoro e l’abuso dei contratti flessibili, la possibilità, anche tramite un co.co.co o un lavoro a progetto di verificare “le attitudini e le capacità del lavoratore in relazione all’inserimento nello specifico contesto lavorativo”, sono tutti elementi che porterebbero a ritenere che la preclusione operi anche in presenza di pregressi rapporti di lavoro autonomo.Come già detto il «primo rapporto a tempo determinato» acausale non può essere superiore a 12 mesi e richiede la forma scritta ad substantiam. Pertanto, la loro violazione determinerà la conversione del contratto a termine in uno a tempo indeterminato ai sensi degli artt. 1418 e 1419, c. 2, c.c., pur in assenza di un'espressa sanzione in tal senso, non contenuta né nel d.lgs. 368/2001, né nella l. 92/2012. La conversione è conseguente all'applicazione dei principi civilistici in tema di nullità parziale, in coerenza con quanto sostenuto dalla giurisprudenza costante in materia di contratto a termine (Cass. 21 maggio 2008, n. 12985; Cass. 18 gennaio 2010, n. 629; Cass. 23 novembre 2010, n. 23684; Cass. 11 maggio 2011, n. 10346; Cass. 21 novembre 2011, n.24479 e C. Costituzionale del14 luglio 2009, n. 214).Inoltre l’art. 1, comma 9, lettera e), della Legge n.92/2012 estende il periodo di “tolleranza” entro il quale il prolungamento del contratto oltre il termine finale (eventualmente prorogato) non determina la sua conversione in un rapporto a tempo indeterminato, ma soltanto un incremento della retribuzione dovuta. I termini di venti giorni (per i contratti fino a sei mesi) e quello di trenta giorni (per i contratti superiori a sei mesi) sono stati elevati rispettivamente a trenta e cinquanta giorni.La nuova disposizione, come è evidente, penalizza i lavoratori e non si muove certo «nel segno del contenimento della flessibilità in entrata: essa, al contrario, accresce la protezione del datore di lavoro contro l’effetto dirompente della conversione[5].

A parere di chi scrive, il suddetto termine, cd “cuscinetto”, così come riformato, dimostra il mutamento delle finalità perseguite dalla disposizione: non si tratta infatti più di evitare le conseguenze sproporzionate (la conversione del contratto) derivanti dal superamento del termine finale per qualche giorno e per ragioni comprensibili, bensì di consentire la programmazione del prolungamento del rapporto oltre la scadenza pattuita senza incorrere nel pericolo di trasformazione del contratto in uno stabile e con conseguenze di carattere solo economico. In sostanza si intende favorire un fisiologico ampliamento della durata del contratto a prescindere dalla effettiva sussistenza delle esigenze tecniche od organizzative. Questo mutamento di funzione dei termini previsti dal comma 2 dell’art. 5 del d.lgs. 368/2001 è un ulteriore elemento che conferma l’applicazione dei 30 e 50 giorni di “tolleranza” ivi previsti anche al “primo rapporto” “acausale” previsto dal nuovo comma 1 bis (o a quello alternativo rimesso allacontrattazione collettiva). Inoltre la legge Fornero all’art. 1, comma 9, lettera g), modifica il comma 3 dell’art. 5 del d.lgs. 368/2001 estendendo gli intervalli tra un contratto a termine e l’altro. I dieci giorni, originariamente previsti per i rapporti fino a sei mesi, vengono elevati a sessanta ed i venti giorni, relativi ai contratti superiori a sei mesi, diventano novanta. Sono indubbiamente consistenti  estensioni dei periodi temporali, dirette ad evitare la utilizzazione sistematica del lavoro a termine e la precarizzazione del lavoratore. In questo caso la legge italiana si è adeguata agli orientamenti della Corte di Giustizia Europea che ha censurato normative nazionali che prevedono intervalli eccessivamente ridotti tra un contratto e l’altro (come, ad esempio, i 20 giorni previsti dalla legge italiana). In tale modo, infatti, si consentirebbe di utilizzare il lavoro a termine per soddisfare esigenze lavorative delle imprese durevoli e costanti nel tempo che dovrebbero essere coperte con un contratto a tempo indeterminato, in contrasto con la finalità della direttiva 1999/70/CE già spiegate in narrativa.Inoltre la Riforma Fornero ha previsto un nuovo regime di decadenze rispetto alla impugnazione dei contratti a termine, ovvero un doppio termine di decadenza.Più precisamente all’art. 1, comma 11, la legge in commento prevede che il lavoratore che intenda eccepire la nullità del termine opposto al contratto deve rendere nota tale volontà al datore di lavoro con qualsiasi atto, anche stragiudiziale, entro 120 giorni dalla scadenza del contratto (e non più entro 60 g) e avviare il relativo giudizio innanzi al Giudice del Lavoro entro i successivi 180 giorni ( e non più 270)[6].

Questi nuovi termini si applicano ai contratti a tempo determinato cessati dopo il 1° gennaio 2013.La modifica dei termini di decadenza è certamente frutto anche del prolungamento degli intervalli tra un contratto a termine e l’altro , ma ha anche una finalità ulteriore ovvero quella di contrastare la pratica di impugnazioni giudiziali a lunga distanza dalla scadenza del termine. Infine, il comma 13 del citato articolo, con norma di interpretazione autentica, chiarisce che l’indennità (prevista dall’art. 35, comma 5, della l. n. 183/2010) che il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore in caso di conversione del rapporto di lavoro a termine in uno a tempo indeterminato è onnicomprensiva ovvero ristora l’intero pregiudizio subito dal lavoratore ivi comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la cessazione del contratto a termine ritenuto illegittimo e la sentenza del Giudice, il cui ammontare oscilla da un minimo di 2,5 mensilità a un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.Dal tenore letterale della norma appare evidente come la stessa escluda qualsiasi moltiplicazione delle somme dovute, nel caso in cui vi siano stati una successione di contratti a tempo determinato, pertanto l’indennità è unica anche in quest’ultimo caso. Ovviamente la disposizione esclude il diritto del lavoratore al percepimento di qualsiasi altro risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale subito. 

2.    La riforma Fornero difronte ai principi enucleati dalla Corte di giustizia nella sentenza Sorge del 2010 

La direttiva 1999/70/CE prevede una clausola di non regresso secondo la quale: “gli Stati membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori di quelle stabilite nel presente accordo. Il presente accordo non pregiudica ulteriori disposizioni comunitarie più specifiche, in particolare per quanto riguarda la parità di trattamento e di opportunità uomo-donna. L’applicazione del presente accordo non costituisce motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo stesso”.

Nella sentenza 24 giugno 2010 Sorge (procedimento C 98/09), la Corte di Giustizia ha precisato che: tale clausola è priva di efficacia diretta, sicché spetta al giudice del rinvio, qualora ritenesse di concludere per l’incompatibilità con il diritto dell’Unione della normativa nazionale, non escluderne l’applicazione, bensì operarne per quanto possibile, un’interpretazione conforme sia alla direttiva 1999/70, sia allo scopo perseguito dal citato accordo”. Più precisamente la Corte di Giustizia richiede di controllare se: “la riduzione delle tutele garantite ai lavoratori a termine in occasione della trasposizione della direttiva sia stata compensata da innalzamento di altre forme di tutela in favore dei lavoratori stessi”.

Alla luce di tale importante pronuncia, nel caso della Riforma Fornero si tratterebbe di verificare il peggioramento o il miglioramento introdotto dalla citata riforma, tenendo in considerazione l’eventuale bilanciamento tra disposizioni che riducono le garanzie con quelle che eventualmente le incrementerebbero. Tra le deroghe in pejus introdotte dalla l. 92/2012 rientrerebbero: l’inserimento di un primo contratto a termine “acausale”, che esclude la temporaneità delle ragioni economiche ed organizzative(l’identica disciplina è prevista per la prima missione con una somministrazione a tempo determinato); il prolungamento del periodo di “tolleranza” nella prosecuzione del contratto, che, di fatto, consente di realizzare una ulteriore dilatazione programmata della sua durata originaria senza che ciò comporti una conversione del contratto a termine in uno a tempo indeterminato; l’introduzione del doppio termine di decadenza, che sostituisce alla possibilità di agire nell’ambito della prescrizione ordinaria ed impone oneri di impugnazione e di attivazione della tutela giurisdizionale molto più ridotti di quelli precedenti; la previsione di un’unica indennità risarcitoria onnicomprensiva, che porta ad una minore entità del risarcimento stante l’esclusione della risarcibilità di altre voci di danno patrimoniale e non. Tra i miglioramenti vi sono: l’incremento degli intervalli tra un rapporto di lavoro a tempo determinato e il successivo; il computo della somministrazione nel “tetto” massimo dei 36 mesi previsti dall’art. 5, comma 4 bis, del d.lgs. 368/2001 e l’aumento del periodo temporale entro il quale effettuare l’impugnazione stragiudiziale ai sensi dell’art. 32, c. 3, della legge 183/2010.

Sembra, a chi scrive, che in una logica di valutazione complessiva delle innovazioni e di bilanciamento tra esse, il saldo sia negativo. I miglioramenti connessi alle disposizioni dirette a ridurre la successione dei contratti a termine ed il ricorso a forme di lavoro temporaneo sono compensati dal netto peggioramento legato alla diffusione generalizzata di primi rapporti o missioni a tempo determinato “acausali” e per periodi temporali assai lunghi, senza dimenticare le ulteriori modifiche peggiorative in tema di impugnazione dei contratti e di conseguenze risarcitorie derivanti dall'illegittima apposizione del termine. In definitiva, la legge facilita la diffusione del contratto a termine quale strumento d'ingresso nel mercato del lavoro anche in assenza di ragioni giustificative e penalizza i lavoratori sia sotto il profilo delle tutele giurisdizionali (imponendo specifici termini di decadenza, solo in parte resi meno stringenti), sia per quanto riguarda gli effetti economici della violazione di norme imperative. Tuttavia questo indubbio regresso nelle garanzie potrebbe essere in parte giustificato dal perseguimento di obiettivi di politica sociale o del lavoro finalizzati a soddisfare esigenze di interesse generale, così come sostenuto dalla Corte di Giustizia nella sentenza Sorge. Si potrebbe sostenere, ad esempio, che il «primo rapporto» "acausale" è diretto a migliorare l'accesso in un mercato del lavoro caratterizzato da elevati livelli di disoccupazione, soprattutto giovanile, ma così non appare nella realtà.Ancora, si potrebbe affermare che l'introduzione del doppio termine di decadenza e della indennità risarcitoria onnicomprensiva trovino fondamento in ragioni di utilità generale, consistenti nella avvertita esigenza di una tutela economica dei lavoratori a tempo determinato più adeguata al bisogno di certezza dei rapporti giuridici tra tutte le parti coinvolte nei processi produttivi.

Queste argomentazioni potrebbero dunque legittimare le riforme in pejus ed incidere sulla valutazione dell'impatto della nuova legge sul livello complessivo di tutela garantito dalle normative preesistenti. Tutti i peggioramenti, infatti, troverebbero «motivi validi» diversi dalla spinta positiva della direttiva e sarebbero quindi esclusi dal principio di non regresso.Ovviamente le ragioni giustificative descritte potrebbero essere contestate sotto diversi profili, anche perché, pur se la Corte di Giustizia non sembra aver analizzato questo aspetto, occorrerebbe valutare la "proporzionalità" della giustificazione addotta con altri valori costituzionali non solo italiani. Tuttavia i recenti dati sulle ultime (poche) assunzioni nello statico mercato del lavoro inducono ad un giudizio negativo che, nei fatti, smentisce tutte le precedenti ipotesi giustificative.

Infine, senz’altro assai discutibile appare il principio secondo cui la disoccupazione possa essere ridotta tramite il ricorso a contratti precari in un contesto normativo (anche europeo) in cui la stabilità del lavoro é ancora un elemento fondamentale; inoltre, la stessa esigenza di certezza del diritto dovrebbe essere contemperata con la tutela del lavoro, che resta un cardine della nostra Costituzione e non consente di sacrificare in misura eccessiva diritti economici del lavoratore o di accesso alla tutela giurisdizionale. Non è un caso, allora, che si sia potuto scrivere a proposito della riforma Fornero come di una“legge molto discussa ed ancora discutibile”[7]. 


* Laurea magistrale in giurisprudenza magistrale, conseguita con la votazione di 110/110 e la concessione della lode, discutendo la tesi sperimentale in “Sicurezza nei luoghi di lavoro e responsabilità penale del datore di lavoro”.
[2] M. Malizia, Il lavoro temporaneo all’interno del panorama europeo: genesi sviluppo e forme di tutela applicabili, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2013.
[3] R. Voza, Il contratto a tempo determinato, in Flessibilità e tutele nel lavoro. Commentario della legge 28 giugno 2012, n. 92, (a cura di) P. Chieco, Cacucci, Bari, 2012.
[4] R. Voza, op. cit..
[5] A. Vallebona, La riforma del lavoro 2012, Giappichelli, Torino, 2012.
[6] A. Vallebona, op. cit..
[7] G. Veneto, Mercato del Lavoro: una nuova legge e il rispetto della costituzione, in rivista giuridica telematica Il diritto dei lavori, anno VI, n. 2, Cacucci, Bari.

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info@codexa.it (di Rossella Vangi) Contratti di lavoro Wed, 23 Oct 2013 10:04:38 +0000
Il nuovo apprendistato http://www.csddl.it/csddl/contratti-di-lavoro/il-nuovo-apprendistato-2.html http://www.csddl.it/csddl/contratti-di-lavoro/il-nuovo-apprendistato-2.html IL NUOVO APPRENDISTATO

E' entrato in vigore lo scorso 25 ottobre 2011 il D.Lgs. n. 167 del 14.9.2011 che, definendo l’apprendistato come un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani, ne semplifica la materia e ne rivede la disciplina, prevedendo tre tipologie: a) l'apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale; b) l'apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere; c) l'apprendistato di alta formazione e ricerca.                

Gli aspetti principali dell’Apprendistato sono stati riassunti dall’INPS con la circolare n.128 del 2 novembre 2012. Con la suddetta circolare l’Istituto fornisce indicazioni di carattere normativo e affronta gli aspetti contributivi di questo istituto contrattuale, considerato di importanza centrale per inserire i giovani nel mondo del lavoro, che è stato recentemente riformato dal testo unico del 2011 (d.lgs n. 167 del 15 settembre 2011), così come modificato dalla L. n. 183/2011 e dalla L. n. 92/2012.

Si riassumono i principali aspetti contenuti nella circolare in parola 

1. Generalità.

La necessità di dare impulso al contratto di apprendistato ha spinto il legislatore a interessarsi a più riprese – negli ultimi tempi – di tale istituto contrattuale. Il più significativo intervento è indubbiamente quello apportato con il d.lgs. 15 settembre 2011, n. 167 che ha previsto il riordino della relativa disciplina.Il provvedimento legislativo è stato adottato in attuazione della previsione di cui all’articolo 46 del “collegato lavoro” (legge n.183/2010), che ha riaperto i termini per l'esercizio di alcune deleghe, contenute nella legge 24 dicembre 2007, n. 247,scadute il 1 gennaio 2009. Il decreto - entrato in vigore il 25 ottobre 2011 – consta di 7 articoli e, passando anche attraverso l’abrogazione della precedente normativa, riconduce “ad unicum” la disciplina a supporto dell’istituto contrattuale, a tal fine assumendo la denominazione di Testo unico dell’apprendistato. Più recentemente, la legge 28 giugno 2012, n. 92 - recante “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita” - ha apportato rilevanti modifiche al testo del citato decreto, con riferimento ad alcuni importanti aspetti di carattere generale. Da ultimo, sulla materia è intervenuta anche la legge 7 agosto 2012, n. 134, che ha convertito il d.l. 22 giugno 2012 n. 83, contenente misure urgenti per la crescita. 

2. Definizione e disciplina generale.

L’articolo 1 del T.U. definisce l’apprendistato come un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e all’occupazione dei giovani. Tre le sue possibili tipologie:

-  apprendistato per la qualifica professionale;

-  apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere;

-  apprendistato di alta formazione e ricerca. 

Riguardo alla disciplina, l’articolo 2 – attuando uno dei principi direttivi previsti dalla legge n. 247/2007 per l’esercizio della delega (rafforzamento del ruolo della contrattazione collettiva) – rimette ad appositi accordi interconfederali, ovvero ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, la regolamentazione dell’apprendistato, nel rispetto di una serie di principi di cui, di seguito, quelli più significativi: 

- forma scritta del contratto e del relativo piano formativo;

-  previsione di una durata minima del contratto non inferiore a sei mesi, fatto salvo quanto previsto  dall'articolo 4, comma 5 per i datori di lavoro che svolgono la propria attività in cicli stagionali;

-  divieto di retribuzione a cottimo;

-  possibilità di inquadrare il lavoratore fino a due livelli inferiori rispetto alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali è finalizzato il contratto ovvero, in alternativa, di stabilire la retribuzione dell’apprendista in misura percentuale e in modo graduale alla anzianità di servizio;

-  presenza di un tutore o referente aziendale;

-  possibilità di finanziare i percorsi formativi aziendali degli apprendisti per il tramite dei fondi paritetici interprofessionali di cui all’articolo 118 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 e all’articolo 12 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 e successive modificazioni anche attraverso accordi con le Regioni;possibilità di prolungare il periodo di apprendistato in caso di malattia, infortunio o altra causa di sospensione involontaria del rapporto, superiore a trenta giorni, secondo quanto previsto dai contratti collettivi;

- possibilità di forme e modalità per la conferma in servizio, al termine del percorso formativo, al fine di ulteriori assunzioni in apprendistato;

- divieto per le parti di recedere dal contratto durante il periodo di formazione in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo. In caso di licenziamento privo di giustificazione, trovano applicazione le sanzioni previste dalla normativa vigente;

- possibilità per le parti di recedere dal contratto con preavviso decorrente dal termine del periodo diformazione ai sensi di quanto disposto dall’articolo 2118 del codice civile, ferma restando - nel periodo di preavviso – l’applicazione della disciplina del contratto di apprendistato. Se nessuna delle parti esercita la facoltà di recesso al termine del periodo di formazione, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. 

2.1. Tutela previdenziale e assistenziale

Sul fronte delle forme assicurative e del carico contributivo, il Testo Unico in nulla innova la normativa precedente, che – fino al 31 dicembre 2012 - rimane quella tracciata dalla legge Finanziaria 2007 (L. 296/06, art. 1, comma 773) e dal conseguente DM 28/3/2007, che ha ripartito le aliquote contributive alle varie gestioni previdenziali di competenza.

Gli apprendisti, quindi – fino alla fine del vigente anno – rimangono tutelati dalle seguenti assicurazioni:

-  IVS;

-  malattia;

-  maternità;

-  assegno per il nucleo familiare;

-  assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (INAIL).

Dal 1 gennaio 2013, a seguito delle modifiche apportate della legge n. 92/2012 - che ha esteso le tutele in costanza di lavoro a tutti i lavoratori dipendenti del settore privato nonché a quelli delle pubbliche amministrazioni con contratto di lavoro dipendente a tempo determinato – anche gli apprendisti saranno destinatari dell’ASpI (Assicurazione sociale per l’impiego). La nuova forma di sostegno al reddito andrà ad aggiungersi, così, alle altre assicurazioni sopra elencate. Con la medesima decorrenza, muterà anche il carico contributivo aziendale, che risentirà dell’aumento derivante dall’onere (1,61%) relativo alla nuova forma assicurativa. 

2.2. Limiti quantitativi delle assunzioni.

Riguardo ai limiti numerici, va osservato che la più volte citata legge n. 92/2012 ha rivisitato la disciplina originariamente prevista dal T.U.. In conseguenza, la nuova regolamentazione può così riepilogarsi. Fino al 31 dicembre 2012, il numero complessivo di soggetti che un datore di lavoro può assumere con contratto di apprendistato non può superare il 100 per cento delle maestranze specializzate e qualificate in servizio. A decorrere dagli avviamenti al lavoro effettuati dal 1 gennaio 2013, la relazione tra i soggetti che un datore di lavoro può assumere con contratto di apprendistato e le maestranze specializzate e qualificate in servizio, non può superare il rapporto di 3 a 2.Per le aziende che occupano un numero di lavoratori inferiore a dieci unità, viene – invece – mantenuto il rapporto del 100 per cento.In caso di assenza di lavoratori qualificati o specializzati, o di loro presenza in numero inferiore a tre unità, possono essere assunti, al massimo, 3 apprendisti. Come già avveniva in passato, per le imprese artigiane restano in vigore le disposizioni in materia di limiti dimensionali dettate dall’articolo 4 della legge n. 443/1985. I limiti numerici si applicano, per esplicita disposizione di legge, computando non solo gli apprendisti assunti direttamente, ma anche quelli utilizzati “per il tramite delle agenzie di somministrazione di lavoro”, con contratto di somministrazione a tempo indeterminato “ai sensi dell'articolo 20, comma 3, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n.276”.Con tale riferimento la norma indirettamente apre all’assunzione di apprendisti in somministrazione. Riguardo a tale ultima previsione, la legge n. 92/2012 esclude espressamente la possibilità di assumere in somministrazione apprendisti con contratto di somministrazione a tempo determinato. Va, quindi, osservato che la legge 134/2012 ha poi ammesso la somministrazione a tempo indeterminato in tutti i settori produttivi, in caso di utilizzo di apprendisti assunti in somministrazione. 

2.3. Clausola di stabilizzazione.

Sempre con riferimento ai profili connessi alle assunzioni, l’articolo 2, c. 3bis del T.U. ha introdotto una “clausola legale di stabilizzazione”, che trova applicazione nelle aziende in cui sono occupati almeno 10 lavoratori. La norma subordina l’assunzione di nuovi apprendisti alla prosecuzione del rapporto di lavoro, al termine del periodo di apprendistato, nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 50 per cento degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro; per i primi trentasei mesi dall’entrata in vigore della legge n. 92/2012, la percentuale è determinata in misura pari al 30%; conseguentemente il limite del 50% sarà operativo dal 18 luglio 2015. Per espressa previsione legislativa, dal computo della percentuale sono esclusi i rapporti cessati per recesso durante il periodo di prova, per dimissioni o per licenziamento per giusta causa. Qualora non sia rispettata la prevista percentuale, é consentita l'assunzione di un ulteriore apprendista rispetto a quelli già confermati, ovvero di un apprendista in caso di totale mancata conferma degli apprendisti pregressi.Per le aziende cui non si applica la citata clausola legale, opera – ove prevista - la clausola contrattuale di cui all’articolo 2. c. 1 del D.lgs. n. 167/2011. I lavoratori assunti con contratto di apprendistato in violazione dei limiti stabiliti sono considerati lavoratori subordinati a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione del rapporto.Per maggiori precisazioni sul punto, si rinvia a quanto affermato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nella circolare n. 18/2012. 

2.4. Esclusione dal computo dei limiti numerici.

Il T.U. ribadisce, all’articolo 7, comma 3, l’esclusione degli apprendisti dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative e istituti, fatte salve specifiche previsioni di legge o di contratto collettivo. 

2.5. Regime sanzionatorio.

Viene infine confermato il regime sanzionatorio (già in precedenza disposto dal D.lgs. n. 276/2003) applicabile nei casi di mancata erogazione della formazione per esclusiva responsabilità del datore di lavoro e che sia tale da impedire la realizzazione delle finalità formative. In questi casi il datore di lavoro è tenuto a versare la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100 per cento, con esclusione di qualsiasi altra sanzione per omessa contribuzione.Innovativa è invece la disposizione dell’articolo 7, comma 2, con la quale si prevede l’applicazione di sanzioni amministrative nel caso di violazione delle disposizioni contrattuali collettive attuative dei principi di cui all'articolo 2, comma 1, lettere a), b),c) e d): forma scritta del contratto, del patto di prova e del relativo piano formativo individuale; divieto di retribuzione a cottimo; inquadramento fino a due livelli inferiori; presenza di un tutore o referente aziendale. 

2.6. Regime transitorio.

L’articolo 7, comma 7, del D.Lgs. n. 167/2011 ha introdotto un regime transitorio per l’apprendistato stabilendo che, per leRegioni e i settori ove la nuova disciplina non fosse stata immediatamente operativa, potevano trovare applicazione, in via transitoria e non oltre sei mesi dalla data di entrata in vigore del T.U., le regolazioni vigenti. Ne deriva che, fino al 25 aprile 2012, hanno potuto trovare ancora attuazione le regole legislative e contrattuali precedenti (in tutti i loro aspetti, durata compresa).R iguardo ai lavoratori in mobilità ex art. 7, c. 4 del T.U.(vedi successivo punto 4), il Ministero del Lavoro ha chiarito che risultava immediatamente possibile assumere questi soggetti con contratto di apprendistato, secondo le regole valide per le diverse tipologie contrattuali. Dove non fosse stata operativa la nuova disciplina, era possibile ricorrere alle normative (legislative e contrattuali) già esistenti sull’apprendistato, ferme restando le disposizioni in materia di licenziamenti individuali di cui alla L. n. 604/1966, nonché il regime contributivo agevolato di cui all'articolo 25, comma 9, della legge n. 223/1991 e l'incentivo di cui all'articolo 8, comma 4, della medesima legge. 

3. Tipologie. 

3.1. Apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale.

L’articolo 3 del T.U. disciplina il primo tipo di apprendistato applicabile in tutti i settori di attività, anche per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione.Lo scopo è quello di avviare i giovani in età compresa tra i 15 anni compiuti e i venticinque-verso il conseguimento di una qualifica o di un diploma professionaleLa regolamentazione dei profili formativi è rimessa alle Regioni sentite le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. 

3.2. Apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere.

L’articolo 4 definisce questa tipologia contrattuale - applicabile in tutti i settori di attività, pubblici e privati – finalizzata al conseguimento di una qualifica professionale a fini contrattuali. Si rivolge ai soggetti di età compresa tra i diciotto e i ventinove anni. Per i giovani in possesso di una qualifica professionale, conseguita ai sensi del D.lgs. n. 226/2005, l’apprendistato può iniziare dal diciassettesimo anno di età.Proprio in questa tipologia si apprezza l’ampia delega affidata alla contrattazione collettiva, cui sono demandati, in ragione dell’età dell’apprendista e del tipo di qualificazione contrattuale da conseguire:

-  la durata e le modalità di erogazione della formazione;

-  la durata, anche minima, del contratto che, per la sua componente formativa, non può comunque essere superiore a 3 anni ovvero 5 per i profili professionali caratterizzanti la figura dell'artigiano individuati dalla contrattazione collettiva di riferimento. I CCNL stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono poi prevedere specifiche modalità di svolgimento del contratto di apprendistato, anche a tempo determinato ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, ivi comprese le durate minime, con riferimento alle attività svolte in cicli stagionali. Rispetto all’originaria versione della norma, va osservato che la recente legge n. 92/2012, è intervenuta sulla durata del rapporto di apprendistato professionalizzante e, attraverso una modifica apportata all’articolo 2 del T.U. ha previsto che detto contratto non possa avere una durata minima inferiore a sei mesi, fatte salve le eventuali previsioni della contrattazionecollettiva riguardo alle attività stagionali. 

3.3. Apprendistato di alta formazione e di ricerca.

L’articolo 5 contiene le norme riferite all’apprendistato di alta formazione e di ricerca, applicabile - anch’esso, come il precedente - sia nel settore privato che in quello pubblico.Si rivolge ai giovani di età compresa tra i diciotto e i ventinove anni ed è finalizzato:

a) al conseguimento di un titolo di studio di livello secondario superiore, ovvero di titoli di studio universitari e dell’alta formazione, compresi i dottorati di ricerca;

b) alla specializzazione tecnica superiore, con particolare riferimento ai diplomi relativi ai percorsi di specializzazione tecnologica degli istituti tecnici superiori;

c) al praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche o per esperienze professionali.

La regolamentazione e la durata del contratto di alta formazione e ricerca sono rimesse alle Regioni, per i soli profili che attengono alla formazione, in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le università, gli istituti tecnici e professionali e altre istituzioni formative o di ricerca comprese quelle in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale o regionale e aventi come oggetto la promozione delle attività imprenditoriali, del lavoro, della formazione, della innovazione e del trasferimento tecnologico. In caso di assenza di norme regionali, l’attivazione dell’apprendistato di alta formazione o ricerca è rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai singoli datori di lavoro o dalle loro associazioni con le Università, gli istituti tecnici e professionali e le istituzioni formative o di ricerca. 

4. Apprendistato per lavoratori in mobilità.

L’articolo 7, comma 4, del Testo Unico prevede che – ai fini della loro qualificazione o riqualificazione professionale – sia possibile realizzare una particolare forma di apprendistato con i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità. La fattispecie contrattuale prevista da tale disposizione è caratterizzata, tra l’altro, dalla circostanza che: le parti – in deroga a quanto previsto dalla disciplina generale dell’apprendistato – non possono recedere dal rapporto al termine del periodo di formazione; come chiarito dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale- si prescinde dai requisiti di età del lavoratoreprevisti dalla disciplina generale. Alla particolare tipologia contrattuale si applica il regime contributivo di cui all’articolo 25, c. 9 della legge n. 223/1991 e – ove spettante – quello previsto dall’articolo 8, comma 4 della medesima legge. In questi casi, quindi, la contribuzione a carico del datore di lavoro sarà pari - per la durata di 18 mesi dalla data di assunzione – al 10%; potrà applicarsi, inoltre, per ogni mensilità di retribuzione corrisposta all’apprendista, il beneficio del contributo mensile pari al 50% dell’indennità di mobilità che sarebbe spettata al lavoratore assunto.Con riguardo agli aspetti contributivi, si precisa che, per i predetti rapporti di lavoro - limitatamente al periodo di vigenza dell’agevolazione - l’aliquota complessiva da versare si attesterà in misura pari al 15,84% (10% + 5,84% a carico dell’apprendista). Al termine dei 18 mesi previsti dalla norma, la contribuzione datoriale sarà dovuta in misura piena; la quota a carico del lavoratore, invece, rimarrà pari al 5,84% per tutta la durata del contratto di apprendistato. Nell’ipotesi di assunzione in apprendistato di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, i quali non possiedano i requisiti di età previsti dalla disciplina dei tre tipi di apprendistato, l’esclusione del recesso al termine del periodo di formazione costituisce un effetto naturale del contratto, a prescindere dalla sua esplicita menzione nel testo sottoscritto dalle parti. 

5. Abrogazioni.

In linea con la logica della semplificazione normativa sottesa al nuovo T.U., con l’entrata in vigore del D.lgs. n. 167/2011,vengono abrogate le precedenti disposizioni che regolavano la materia, ovvero:

-  la legge 19 gennaio 1955, n. 25;-  gli articoli 21 e 22 della legge 28 febbraio 1987, n. 56;

-  l’articolo 16 della legge 24 giugno 1997, n. 196;

-  gli articoli da 47 a 53 del D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276. 

6. Prosecuzione del rapporto di apprendistato. Beneficio contributivo.L’articolo 7, comma 9 del T.U. ripropone, anche se in termini differenti rispetto all’abrogata disposizione di cui all’articolo 21 della legge n. 56/87, il particolare incentivo connesso al mantenimento in servizio dell’apprendista. Viene previsto, infatti, che il regime contributivo agevolato sia mantenuto per un anno dalla prosecuzione del rapporto di lavoro con l’apprendista, successivo alla fine del periodo di formazione. Per espressa previsione legislativa l’incentivo non si applica ai lavoratori assunti con contratto di apprendistato dalle liste di mobilità, ai sensi dell’art. 7, co. 4, del T.U., comma 36 della legge 28 giugno 2012, n. 92.  

Fonti: Note del Ministero del lavoro e circ. n. 128/2012 INPS

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info@codexa.it (di Mario Di Corato) Contratti di lavoro Tue, 15 Nov 2011 11:42:38 +0000