Professioni sportive - CSDDL.it - Centro Studi Diritto Dei Lavori Centro Studi Diritto dei Lavori - Bisceglie - A cura dell'Avv. Antonio Belsito e del Prof. Gaetano Veneto http://www.csddl.it/csddl/professioni-sportive/ Fri, 12 Mar 2021 13:04:08 +0000 Joomla! 1.5 - Open Source Content Management it-it I doveri dello sportivo professionista http://www.csddl.it/csddl/atleti-professionisti-e-dilettanti/i-doveri-dello-sportivo-professionista.html http://www.csddl.it/csddl/atleti-professionisti-e-dilettanti/i-doveri-dello-sportivo-professionista.html I DOVERI DELLO SPORTIVO PROFESSIONISTA 

di Domenico Fracchiolla 

In ogni situazione giuridica soggettiva attiva o passiva contrattualmente assunta o imposta per legge, entrambe le parti contraenti (datore di lavoro e lavoratore) sono tenute all’osservanza dei doveri di correttezza e di buona fede nell’espletamento del rapporto contrattuale con conseguente risarcimento dei danni in caso di violazione.La necessità dell’osservanza dei doveri descritti ha lo scopo di impedire che l’esercizio della discrezionalità di ciascuna delle parti possa sfociare in una discriminazione o vessazione o addirittura in un arbitrio nei confronti dell’altro contraente[1].

L’art. 1175 del c.c. stabilisce che il creditore e il debitore devono comportarsi secondo le regole della correttezza. Questo principio secondo la nostra Costituzione (art. 2) deve essere inteso come una specificazione dei doveri inderogabili di solidarietà sociale.Il lavoro subordinato si caratterizza oltre che per l’assoggettamento al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro anche per la diligenza nell’espletamento della prestazione, per il dovere di obbedienza, per l’obbligo di fedeltà e infine per la collaborazione secondo buona fede e correttezza di comportamento del prestatore d’opera. Sono diligenza e obbedienza i due caratteri individuati dall’art. 2104 c.c.: per quanto riguarda il primo, e cioè la diligenza, lo sportivo professionista è tenuto a mettere a disposizione della società di appartenenza le proprie prestazioni lavorative in vista del conseguimento del risultato cui le stesse tendono, e che corrisponde anche alle aspettative della società datrice di lavoro. Inoltre, secondo l’art. 93 del N.O.I.F., i calciatori professionisti devono attenersi alle disposizioni degli accordi collettivi e ad ogni altra legittima pattuizione contenuta nei contratti individuali.

La prestazione di lavoro sportivo è fortemente caratterizzata dall’intuitus personae e, di conseguenza, il modo di esecuzione della stessa richiede una particolare diligenza che deve essere valutata e correlata alla natura dell’attività e della società, coincidente, per certi aspetti, a quella dello sportivo. Inoltre bisogna precisare che secondo i vari Accordi Collettivi, diversi a seconda della categoria, i calciatori professionisti, devono custodire con diligenza gli indumenti e i materiali sportivi forniti dalla società, e si impegnano a rifondere il valore degli stessi se smarriti o deteriorati per loro colpa.Per quanto riguarda l’obbligo di obbedienza, in base al quale il lavoratore dipendente deve osservare le disposizioni impartite dal datore di lavoro o dai collaboratori di questo, dai quali il lavoratore giuridicamente dipende, esso deve essere espressamente specificato in quanto l’art. 4 comma 4 l. 91/81, ne ha previsto il necessario inserimento nel contratto individuale. Tale obbligo rientra nei doveri del prestatore di lavoro ex art. 2104 c.c., secondo comma. In riferimento al lavoro sportivo professionistico sussiste l’obbligo gravante sull’atleta di attenersi alle istruzioni tecniche e alle disposizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici. Da sottolineare tuttavia che, così come avviene per la generalità dei rapporti di lavoro subordinato, anche in ambito sportivo il lavoratore non è tenuto all’osservanza di ordini illegittimi o che si traducano nell’esposizione a pericoli per la propria salute o incolumità fisica.Il dovere di fedeltà è invece sancito dall’art. 2105 c.c., il quale vieta al lavoratore di trattare affari per conto proprio o di terzi in concorrenza con l’imprenditore, nonché di divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o di farne uso in modo da arrecare pregiudizio. Con riferimento agli sportivi professionisti, tale obbligo è specificato nell’Accordo Collettivo[2], secondo il quale il calciatore è tenuto ad osservare strettamente il dovere di fedeltà; quindi il calciatore deve evitare comportamenti che siano tali da arrecare pregiudizio all’immagine della società. Nello specifico l’obbligo di fedeltà va inteso come inibizione a svolgere altra attività sportiva, salvo l’autorizzazione della società, o altra attività lavorativa o imprenditoriale incompatibile con l’esercizio dell’attività agonistica. In ogni caso, qualora l’atleta intenda iniziare una di tali attività, deve darne notizia alla società, la quale può opporsi. La preclusione per l’atleta di prestare una qualsiasi attività agonistica per conto di un’altra società sportiva incontra un limite nel dovere per il calciatore di rispondere alla convocazione da parte della propria squadra Nazionale: tale convocazione non comporta problematiche particolari circa il corretto svolgimento del rapporto inter partes, ma contribuisce semmai all’aumento del valore economico “del cartellino” dell’atleta, con chiaro vantaggio anche d’immagine e prestigio per la società di appartenenza.

Altra caratteristica del già citato art. 4, contenuta nel comma 6 è quella di escludere che il contratto possa contenere clausole di non concorrenza o comunque limitative della libertà professionale dello sportivo per il periodo successivo alla risoluzione del contratto stesso, il quale non può essere nemmeno integrato, durante il suo svolgimento, con tali clausole. Per tale motivo il dovere di non concorrenza contenuto nell’art. 2105 c.c. è destinato ad avere efficacia esclusivamente durante la permanenza del rapporto di lavoro. Lo sportivo professionista, inoltre, è tenuto alla riservatezza (art. 2105 c.c.) in ottemperanza al vincolo di subordinazione e di dipendenza tecnico-funzionale[3], rispetto alla società ex art. 2094 e art. 2082 c.c.. Infatti si afferma il divieto di divulgare o utilizzare a proprio vantaggio o altrui notizie attinenti l’organizzazione di giuoco, la tipologia degli allenamenti, gli schemi, le tattiche scelte dall’allenatore e tutte le strategie commerciali della società, quali ad esempio quelle relative alla campagna acquisti o alla stipula di contratti di sponsorizzazione o pubblicità in modo da arrecare un pregiudizio alla società. Tale obbligo si protrae dopo la cessazione del rapporto di lavoro fino a quando può permanere l’interesse alla riservatezza.Il calciatore non ha diritto di interferire nelle scelte tecniche, gestionali e aziendali della società, infatti, gli sportivi professionisti sono tenuti a svolgere le prestazioni nei luoghi indicati dalle società di appartenenza per quanto riguarda gli allenamenti e, per quanto riguarda le gare, nel luogo risultante dal calendario predisposto all’inizio di ogni stagione sportiva.Il calciatore sempre nell’ambito del dovere di fedeltà nei confronti del proprio sodalizio sportivo dovrà obbligatoriamente astenersi dal tentativo o dal compimento di un illecito sportivo. Sotto questo particolare profilo rientrano tutti quei comportamenti tenuti dai calciatori che tendano ad alterare il corretto svolgimento delle gare e quindi il loro risultato, oppure a creare un illegittimo vantaggio per una società diversa da quella presso cui sono tesserati, attraverso degli accordi illegittimi (la cosiddetta combine).

Secondo l’Accordo Collettivo[4], al calciatore che sia venuto meno ai suoi obblighi contrattuali verso la società, ovvero agli obblighi derivanti da regolamenti federali, fonti normative, statuali o federali, sono applicabili i seguenti provvedimenti, graduati in relazione alla gravità dell’inadempimento: ammonizione scritta, multa, riduzione della retribuzione, esclusione temporanea dagli allenamenti o dalla preparazione precampionato con la prima squadra, risoluzione del contratto. 


[1] Sentenza della Corte di Cassazione Sez. Lav. n. 6763 del 10 maggio 2002.

[2] Per i calciatori di Serie A art.10 co.2 accordo collettivo del 2011, per i calciatori di serie B art. 10 co. 2 dell’Accordo Collettivo del 2005 e per i calciatori di Lega Pro art. 12 co. 1 dell’Accordo Collettivo del 1989.

[3] Che a sua volta discende dall’art. 2086 c.c. che pone a capo dell’impresa l’imprenditore da cui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori.

[4] Per i calciatori di Serie A  art. 11 co. 1 dell’Accordo Collettivo del 2011, per i calciatori di Serie B art. 11 co. 1dell’Accordo Collettivo del 2005 e per i calciatori di Lega Pro art. 15 dell’Accordo Collettivo del 1989.

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info@codexa.it (di Domenico Fracchiolla) Atleti professionisti e dilettanti Mon, 05 Nov 2012 11:09:51 +0000
La tassazione degli atleti http://www.csddl.it/csddl/atleti-professionisti-e-dilettanti/la-tassazione-degli-atleti.html http://www.csddl.it/csddl/atleti-professionisti-e-dilettanti/la-tassazione-degli-atleti.html LA TASSAZIONE DEGLI ATLETI

 di Elena Mattesi

con introduzione di Gaetano Veneto

(in www.dirittodeilavori.it, anno V n. 1, 31 marzo 2011)

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info@codexa.it (di Elena Mattesi) Atleti professionisti e dilettanti Thu, 14 Apr 2011 09:11:43 +0000
La qualificazione del lavoratore sportivo professionista http://www.csddl.it/csddl/calciatori-professionisti/la-qualificazione-del-lavoratore-sportivo-professionista.html http://www.csddl.it/csddl/calciatori-professionisti/la-qualificazione-del-lavoratore-sportivo-professionista.html LA QUALIFICAZIONE  DEL LAVORATORE SPORTIVO PROFESSIONISTA 

di Domenico Fracchiolla

La legge 23 marzo 1981, n. 91[1] è l’unica disposizione che ci permette di definire la figura del lavoratore sportivo professionista e, inoltre rappresenta sia un’effettiva tutela per il lavoratore sportivo sia una soddisfacente valorizzazione dell’attività agonistica.

La legge, titolata “Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti”, limita l’applicazione delle disposizioni in essa contenute agli sportivi professionisti, con l’esclusione di quel vasto numero di atleti che gravitano nell’area del dilettantismo sportivo in quanto privi dei necessari requisiti previsti dalla stessa legge. Secondo l’art. 2 sono da definire lavoratori sportivi professionisti “gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, i quali  esercitano un’attività sportiva a titolo oneroso, con carattere di continuità, nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica”; in sostanza sono coloro che praticano lo sport come lavoro primario[2].

Il legislatore con l’art. 2 ha privilegiato un elemento formale, con la conseguenza che devono essere esclusi dalla tutela propria del lavoro sportivo non solo coloro (atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici) che svolgono attività diversa da quella indicata nella prima parte dell’art. 2, ma tutti quei soggetti per i quali non si sia avuta una specifica qualificazione da parte delle federazioni sportive[3]. Con il D. Lgs. 23 luglio 1999, n. 242[4] è stato affidato al CONI il compito di fissare, in armonia con l’ordinamento internazionale sportivo, i criteri della distinzione tra sportivo professionista e sportivo dilettante al fine sia di creare un’omogeneità dei criteri distintivi sia di ridurre il contenzioso circa la qualificazione di talune tipologie di contratti di lavoro. Dopo aver definito le figure professionali rientranti nell’ambito dello sport professionistico, all’art. 3 primo co., la legge n. 91 stabilisce che la prestazione a titolo oneroso dell’atleta costituisce oggetto del contratto di lavoro subordinato; infatti il legislatore ha introdotto, per la sola figura dell’atleta, una presunzione di lavoro subordinato. Tuttavia, la legge non esclude che l’attività dell’atleta professionista possa rivestire i caratteri della prestazione di lavoro autonomo ma, coerentemente con la presunzione di subordinazione, indica essa stessa le ipotesi in cui la prestazione a titolo oneroso dell’atleta costituisce oggetto di lavoro autonomo. Infatti l’art. 3 stabilisce che la prestazione a titolo oneroso diventa oggetto di contratto di lavoro autonomo quando ricorra almeno uno dei seguenti requisiti: “l’attività è svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo; l’atleta non è contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione od allenamento; la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese  ovvero trenta giorni ogni anno”.

A prescindere dalla forma il rapporto di lavoro sportivo deve essere, secondo l’art. 4, a titolo oneroso e si costituisce mediante assunzione diretta con la stipula di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive. Oltre all’assunzione diretta, il legislatore ha previsto espressamente che il contratto tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni venga stipulato sulla base di un contatto tipo[5] predisposto conformemente all’accordo stipulato ogni tre anni dalla federazione sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessate. Nel caso in cui ci fossero delle clausole all’interno del contratto contenenti deroghe peggiorative queste vengono sostituite ipso iure con le clausole del contratto tipo. Il lavoratore professionista sportivo può stipulare il proprio contratto solo con la società sportiva costituita nella forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata; inoltre la società sportiva per poter svolgere la propria attività, oltre a prevedere nel proprio atto costitutivo lo svolgimento esclusivo dell’attività sportiva e di attività ad essa connesse, deve ottenere l’affiliazione dalla competente federazione sportiva riconosciuta dal CONI. Il lavoratore, come si evince dal primo co. dell’art. 5, intitolato “cessione del contratto”, è obbligato a stipulare il contratto di lavoro subordinato con un termine risolutivo[6] non superiore a cinque anni dalla data d’inizio del rapporto, e comunque è espressamente prevista la possibilità del rinnovo del contratto a termine fra gli stessi soggetti. Al secondo co., l’art. 5 riconosce anche la possibilità di effettuare la cessione del contratto, prima della scadenza del termine risolutivo, da una società all’altra, purché vi sia il consenso del lavoratore e siano osservate le modalità fissate dalle Federazioni sportive nazionali. Naturalmente la suddetta cessione non soltanto deve rivestire la forma scritta, ma va depositata presso la Federazione sportiva di competenza ai sensi dell’art. 4, co. 2, al fine di consentire i necessari controlli. Il termine risolutivo del contratto indicato nell’art. 5 e l’art. 16[7] della l.91/81, al momento dell’entrata in vigore, hanno costituito un’innovazione portando alla soppressione del vincolo sportivo[8], in quanto alla scadenza del contratto viene riconosciuta all’atleta la libertà negoziale di stipulare un nuovo contratto di lavoro. L'atleta, prima della entrata in vigore della legge  n. 91/1981 era vincolato a vita alla società, la quale decideva arbitrariamente il destino dello stesso; invece, con la previsione di un termine per i contratti, la società è obbligata a programmare la propria gestione tenendo conto del limite temporale delle prestazioni dei singoli atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici.                                                                                                  


[1] Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 27 marzo 1981 n. 86.
[2] Calciatore professionista è colui che pratica il gioco del calcio in modo continuativo ed essendone retribuito, vale a dire, in sostanza, colui che lo pratica come lavoro primario. V. Frattarolo, il rapporto di lavoro sportivo, Giuffrè editore, 2004.
[3] G. Ianniruberto, sport e diritto del lavoro, giuslavoristi.it.
[4] Il D.lgs. 23 luglio 1999 n. 242 ha abrogato la legge n. 426 del 1942 e ha riformato la struttura organizzativa del CONI e delle federazioni nazionali, ma non ne ha sostanzialmente mutato i compiti e, per altro verso, ha confermato l’appartenenza dell’ente all’ordinamento sportivo internazionale e la rilevanza delle norme di quest’ultimo nell’ordinamento statale. V. Frattarolo, il rapporto di lavoro sportivo, Giuffrè editore, 2004.
[5] Cassazione 5 marzo 1993, n. 4063: “ove manchi un contratto tipo, il rapporto contrattuale tra società e professionista sportivo non può definirsi di natura sportiva, e, quindi, non è soggetto a deroghe rispetto alla disciplina comune di cui all’art. 4 della L. 91/1981”.
 Il rapporto di lavoro sportivo è solo quello che sorge secondo gli schemi del contratto tipo, mentre ogni altra tipologia di rapporto deve essere valutata secondo le regole del diritto comune. G. Nicoletta, altalex quotidiano d’informazione giuridica, n. 2265 del 25 settembre 2008.
[6] La previsione della L.91/1981 di un contratto a tempo determinato mira a salvaguardare, secondo prospettive differenti, entrambe le parti del rapporto, ancorando questa caratteristica forma di tutela alle peculiarità del settore calcistico. R.Stincardini, rivista di diritto ed economia dello sport, vol. 4, fasc. 3, 2008.
[7] Art. 16 L. 91/1981: “Le limitazione alla libertà contrattuale dell’atleta professionista, individuate come vincolo sportivo nel vigente ordinamento sportivo, saranno gradualmente eliminate entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, secondo modalità e parametri stabiliti dalle federazioni sportive nazionale e approvati dal CONI, in relazione all’età degli atleti, alla durata ed al contenuto patrimoniali del rapporto con la società”.
[8] Col vincolo sportivo era esclusa qualsiasi libertà contrattuale dell’atleta, così completamente assoggettato alla volontà della società sportiva che, sola ed anche contro la volontà dell’atleta, decideva del suo trasferimento ad altra società sportiva. R.Stincardini, rivista di diritto ed economia dello sport, vol. 4, fasc. 3, 2008.

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info@codexa.it (di Domenico Fracchiolla) Calciatori professionisti Wed, 01 Dec 2010 10:40:45 +0000
La protesta dei calciatori professionisti di serie A http://www.csddl.it/csddl/calciatori-professionisti/la-protesta-dei-calciatori-professionisti-di-serie-a.html http://www.csddl.it/csddl/calciatori-professionisti/la-protesta-dei-calciatori-professionisti-di-serie-a.html Lo scipero dei giocatori ricchi

La protesta dei calciatori professionisti di serie A

di Antonio Belsito 

Negli ultimi tempi i rappresentanti dei calciatori non avendo raggiunto alcune intese in sede di contrattazione con quelli delle società sportive hanno paventato a più riprese la possibilità di indire uno sciopero.

Non vi è dubbio che lo sciopero è per noi tutti - e deve essere per una collettività democratica - un sacrosanto diritto costituzionale da garantire sempre. Tuttavia, pur rientrando tra coloro i quali sostengono senza riserve tali diritti, mi sono sorte delle perplessità circa l’esercizio di questa forma di protesta paventata da una particolare categoria di “giocatori e/o lavoratori” che una disarmonica quanto affrettata legge n. 91 del 1981 ha definito addirittura subordinati. Ma è davvero tutelabile lo sciopero del gioco?

Va evidenziato che la posizione dei giocatori di serie A è decisamente diversa da quella riguardante tutti gli altri calciatori. Infatti i primi - per questo campionato di calcio 2010/2011 - “guadagneranno” la modica somma complessiva di un miliardo di euro da dividersi tra pochi atleti (circa cinquecento).

I paurosi e stratosferici ingaggi di questi signori mal si conciliano con i principi costituzionali del diritto di sciopero e con i principi sacri che regolano le tutele dei lavoratori subordinati.

Non esiste alcuna posizione di “contraente debole” da parte di chi “guadagna” per pochi calci al pallone (e, spesso, per molte cadute di stile) svariati milioni di euro, mentre la stragrande maggioranza della popolazione italiana fatica a superare la terza settimana con il proprio modesto stipendio. Non trattandosi di contraente debole, il calciatore di serie A ed i suoi rappresentanti che paventano un’azione di protesta come lo sciopero creano non poco imbarazzo tra le parti sociali che restano alquanto perplesse percependo da parte degli effettivi lavoratori subordinati un qualche disappunto. Insomma, ammesso e non concesso che si voglia non tener conto della inesistenza di una posizione di debolezza contrattuale che porrebbe in dubbio l’utilizzo di simili strumenti di autotutela, si ritiene che soprattutto in un momento di così grave crisi economica queste imprudenti esternazioni dei rappresentanti di questi signori risultano quanto meno di pessimo gusto e forse è stato imprudente e grottesco diffondere simili notizie.

Il contraente non debole dovrebbe essere meno disinvolto nell’invocare strumenti di tutela offerti essenzialmente a ben altre categorie di lavoratori, quelli veri … che non giocano.

E’ una questione di stile!  

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info@codexa.it (di Antonio Belsito) Calciatori professionisti Fri, 29 Oct 2010 23:00:00 +0000