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Philip Roth in fuga da Bisanzio

Un uomo anziano seduce una donna molto più giovane. Nell’Animale morente di Philip Roth, David Kepesh, professore di Practical Criticism, conquista la giovane Consuela Castillo, studentessa appena ventenne, con l’aiuto di un raro manoscritto di Kafka. David le propone incontri erotici, stabilisce con lei un rapporto di potere, segnato da avarizia amorosa ed intenso desiderio sessuale; Consuela infrange immediatamente le regole del gioco e gli preannuncia, fin dalla prima volta, che non sarà mai sua moglie. L’ingenuità della ragazza e la sua grande bellezza rovesciano la relazione asimmetrica. David si scopre geloso di lei (‘la interrogo (ma saperlo a che cosa può servire?) sui suoi amichetti, le chiedo di dirmi con quanti è andata a letto prima di me e quando ha cominciato e se è mai stata con un’altra ragazza o con due uomini in una volta (o con un cavallo, o un pappagallo, o una scimmia), ed è stato in quel momento che mi ha detto che erano solo cinque’ – p. 33). A lei ormai sottomesso, anche eroticamente, David la allontana spaventato dalla sua vita. Ma non riesce a dimenticarla. Qualche anno più tardi, Consuela, ammalata di cancro, lo cerca. David, alter ego più fortunato del Professor Unrat, risponde. Il suo interlocutore lo avverte – ‘Pensaci. Rifletti. Perché se ci vai, sei finito’ (p. 113) – ma David va. La differenza d’età – quarant’anni – si dissolve: una storia d’amore può finalmente nascere.

Con L’animale morente, Roth non ha scritto un mélo, nonostante il finale. Non ha scritto un romanzo sull’erotismo maturo o la rivoluzione sessuale dopo il ’68, bensì sul tempo, il senso del tempo che prima allontana poi avvicina i due protagonisti. David è un uomo anziano, vede la distanza temporale che lo divide dalla ragazza come molto lunga; Consuela è giovane, sente quella distanza come immensa. David vede la distanza che lo separa dalla morte come breve; Consuela la sente come infinita. La malattia rovescia le percezioni. In pericolo di morte, Consuela diventa coetanea di David perché ne condivide ormai l’idea, straziante, del futuro (‘ora il suo senso del tempo è come il mio, incalzante e ancor più sconsolato del mio. Consuela, in realtà, mi ha sorpassato’ – p. 108). E diventa, a sua volta, un ‘animale morente’.

Il titolo del romanzo, The Dying Animal, ricompare nell’unica citazione letteraria dell’opera. Dopo un incontro sessuale, David si acquieta. Non è più ‘malato di desiderio’ – racconta all’interlocutore (‘Ma qui ho il mio orgasmo, la lezione di fantasia è finita e, per il momento, io non sono più malato di desiderio. Non era Yeats? ‘Consumami il cuore; malato di desiderio/e avvinto a un animale morente/che non sa cos’è’. Yeats. Sì. ‘Preso da quella musica sensuale’, e così via’ – p. 75). È, questa, la citazione sincopata di alcuni versi della celeberrima Sailing to Byzantium del 1926, forse la più amata, studiata, citata lirica del poeta irlandese, insieme con la successiva Byzantium (‘O saggi, voi che state nel fuoco sacro di Dio / come nell’oro musivo su una parete, uscite / dal fuoco sacro, scendete in fila a spirale, / e siate i maestri di canto dell’anima mia. / Consumate il mio cuore; malato di desiderio / e avvinto a un animale morente / non sa cos’è’ – Consume my heart away; sick with desire / and fastened to a dying animal / it knows not what it is). Quella di Roth è una citazione importante, perché suggerisce il titolo e in un certo senso sintetizza il romanzo, pur collidendo con la sua struttura narrativa. Sailing to Byzantium è interamente costruita sulla voglia di fuga dall’Irlanda (perché ‘non è un paese per vecchi’) e il desiderio di navigare verso Bisanzio, il luogo dei ‘monumenti dell’intelletto che non invecchia’ (monuments of unaging intellect). L’Irlanda è lo stato di natura, abitato da quanto è generato, nasce e muore come gli esseri umani (i giovani che si abbracciano) e gli animali (gli uccelli che cantano sugli alberi, gli sgombri ed i salmoni). Ma il poeta è anziano. Il suo cuore è malato di desiderio, è preso dalla musica sensuale della giovinezza (caught in that sensual music) ma vuole fuggirla perché soffre nell’esserne escluso. Perché vuole fuggire la morte. E un vecchio altro non è se non ‘una misera cosa / un cappotto lacero, appeso ad un bastone’. La soluzione, per Yeats, è nello ‘studio dei monumenti della sua magnificenza’ (i.e. dell’anima), nell’‘artificio dell’eternità’ che lo liberi dalla natura mortale, e negli elementi che quell’eternità compongono: gli uccelli meccanici degli orefici bizantini, i mosaici.

     Gli uccelli meccanici sono gli automi, frutto delle ricerche di Erone di Alessandria negli Pneumatica (I secolo d.C.), forse progettati dall’imperatore Teofilo (813-842) o da Leone VI il Matematico (886-912), oppure prestito culturale abbaside o fatimida, giunto da Baghdad. Nella sala di Salomone del palazzo Magnaura, cinguettavano sull’albero di bronzo dorato, di fronte al trono. Li descrivono due fonti di X secolo: Liutprando, vescovo di Cremona, nel resoconto del viaggio diplomatico che compì a Costantinopoli alla corte di Costantino VII Porfirogenito e il trattato de cerimoniis, redatto per ordine dello stesso imperatore. I mosaici sono invece quelli visitati da Yeats nel 1924 a Ravenna e a Monreale ma dislocati in Santa Sofia, nella Bisanzio giustinianea già descritta in A Vision e colta un attimo prima della chiusura dell’Accademia ma scrutata dall’estremo Occidente, dall’Irlanda, fantasticando sul Book of Kells. Questa la soluzione proposta da Yeats. David Kepesh, invece, pur angosciato dalla vecchiaia, soprattutto quella invisibile che precede di un soffio la decadenza fisica, non ricorre ai monumenti dell’intelletto per sconfiggerla, alla metafora di un sapere ‘disinteressato’, alto e artificiale. Segue la legge del desiderio come strumento di vittoria sulla morte. Non lo fa neppure quando la sua esperienza incontra la sconfitta. Non soffre di tedio. Alla fine non fugge dal paese dei giovani, decide di restarvi, rimanendo al fianco di Consuela, giovane donna non più giovane. Sottile, la citazione di Yeats, e ingannevole perché rovesciata.

 

                                                            

     Philip Roth, L’animale morente, traduzione di Vincenzo Mantovani, Torino, Einaudi, 2002 (2001). L’opera è dedicata a N.M. (Norman Mailer?). David Kepesch è già protagonista di The Breast (1972) e di Professor of Desire (1977). Nei tre romanzi Roth esplora le diverse età del desiderio. Mondo ebraico e mondo irlandese s’incontrano ancora in Pastorale americana, nelle figure di Seymour Levov, lo ‘Svedese’, e di sua moglie, la celtica Dawn Dwyer. Il motivo della fuga e del tedio intellettuale risale a Mallarmé, al suo Brise marine: La chair est triste, hélas! Et j’ai lu tous les livres. / Fuir! Là-bas fuir …

     Thomas S. Eliot scriveva in Lune de miel (1920): Et Saint Apollinaire, raide et ascétique, / vieille usine désaffectée de Dieu, tient encore / dans ses pierres écroulantes la forme précise de Byzance. William B. Yeats compose Sailing to Byzantium nell’autunno 1926 e la pubblicò l’anno successivo (The Collected Poems of W.B. Yeats. Definitive Edition, With the Author’s Final Revisions, London/New York, The Macmillan Company 1950, p. 193 s.). Sempre Yeats, in Una Visione: ‘Credo che se potessi vivere un mese dell’antichità, e mi fosse concesso il diritto di trascorrerlo dove mi pare, lo trascorrerei a Bisanzio poco prima che Giustiniano inaugurasse Santa Sofia e chiudesse l’Accademia Platonica’, cioè tra il 529 ed il 537. A Bisanzio, simbolo coltissimo dell’unità della cultura umana ‘il pittore, il mosaicista, l’artigiano che lavorava l’oro e l’argento, il miniaturista di libri sacri, erano quasi impersonali, forse quasi inconsapevoli di intenti individuali, immersi nel loro soggetto, che era la visione di un intero popolo’ (Milano, Adelphi 2003, pp. 289-90). Sulla fascinazione che l’idea della fuga nel disinteresse estetico – cantata da Yeats – ha esercitato sulla produzione matura di Roth, si veda J. Knowles, ‘Yeatsian Agony in Late Roth’, Philip Roth Studies 13, 2017, pp. 87-94.

     Liutprando da Cremona, Antapodosis VI 5, p. 147 Chiesa CCM CVI ‘davanti al seggio dell’imperatore stava un albero di bronzo ma ricoperto d’oro i cui rami erano pieni di uccelli di bronzo dorato, che emettevano suoni diversi per ciascuna specie. Il trono imperiale era congegnato in modo tale che ora ci appariva basso, ora più alto, poi improvvisamente altissimo. Ed era immenso, non so se fatto di bronzo o di legno, ma di sicuro erano ricoperti d’oro i leoni che stavano ai lati come per custodirlo e, percuotendo il pavimento con la coda, dalle fauci spalancate, muovendo la lingua, emettevano un ruggito. Con due eunuchi alle costole fui condotto in questa dimora, al cospetto dell’imperatore. Sebbene al mio ingresso i leoni ruggissero e gli uccelli strepitassero ciascuno secondo la sua specie, non ebbi alcun timore e nemmeno un moto di meraviglia, visto che tutte queste cose mi erano state raccontate da persone che le conoscevano bene. Così, dopo che per la terza volta mi ero prosternato davanti all’imperatore, alzai il capo e d’un tratto colui che avevo visto su un  trono e appena sollevato da terra mi apparve seduto quasi all’altezza del soffitto, e abbigliato d’altre vesti. Non seppi spiegarmi come potesse essere accaduto, se non che forse lo avessero sollevato con uno di quegli argani con cui si sollevano gli alberi dei torchi (trad. di S. Ronchey); De cerimoniis II 15 pp. 566-568 Reiske CSHB I; Erone di Alessandria, Pneumatica I 15 pp. 89-99 Schmidt. La tessitura delle fonti di Sailing to Byzantium è ricostruita da P.Th.M.G. Liebregts, Centaurs in the Twilight. W.B. Yeats’s Use of the Classical Tradition, Amsterdam-Atlanta, GA, Editions Rodopi B.V. 1993, pp. 297-302 e S. Ronchey, “On a Golden Bough”. Bisanzio in due poemi di William Butler Yeats, in G. Fiaccadori (ed.), “In partibus Clius”. Scritti in onore di Giovanni Pugliese Carratelli, Biblioteca 36, Napoli, Vivarium 2006, pp. 609-23. Il Book of Kells, manoscritto miniato di eccelsa fattura, è stato realizzato da monaci irlandesi intorno all’800 e contiene il testo in latino dei quattro Vangeli. E’ conservato nella biblioteca del Trinity College a Dublino.

Zito Eleutheria! (Vive la liberté!) … ovvero: “guerra giusta”, politica e cultura nel mondo di ieri e di oggi.

Si è appena conclusa al Louvre l’exposition intitolata Paris-Athènes. Naissance de la Grèce moderne 1675-1919. La mostra ha ricostruito il filo delle relazioni intrattenute dai due paesi, il contributo di entrambi alla costituzione dell’identità culturale d’ognuno e l’emergenza di un modello culturale europeo, quello antico. L’arco temporale definito comprende la riscoperta della Grecia bizantina e ottomana da parte del marchese Charles de Nointel, in viaggio per la Sublime Porta nel 1675. Include l’impegno militare e culturale speso dai Francesi in favore della guerra d’indipendenza del 1821, l’acquisizione concomitante della Venere di Milo, la spedizione in Morea, gli scavi archeologici a Delo, Delfi e Taso. Si spinge fino alla presenza greca, con due sontuosi padiglioni, alle Esposizioni universali parigine del 1889 e 1900. Si chiude con la mostra del gruppo di artisti Omada Tehni, sempre a Parigi, nel 1919. All’interesse francese per la Grecia fa eco la costruzione dell’identità del nuovissimo stato, diviso tra il sogno politico della riconquista di Costantinopoli e la realtà della ‘Grande Catastrofe’, la guerra greco-turca del 1919-1922 che provocò l’esilio massiccio dei Greci dell’Asia Minore. Affidata a una monarchia e alla cultura neoclassica tedesca – cui l’invenzione di una tradizione s’ispirò in molti ambiti culturali, da quello architettonico all’adozione del costume nazionale – la giovane Grecia guardò più in generale a modelli europei ma non perse mai di vista il modello francese che aveva conosciuto già al tempo dei principati latini dei Franchi.

Zito Eleutheria! (Vive la liberté!) è il grido che Eugène Delacroix prestava nel Journal al soldato greco pronto a lanciarsi contro il nemico. Filelleno, Delacroix identificava gli eroi dell’indipendenza con gli antichi Greci, campioni della libertà contro l’impero persiano. La mostra celebra l’impegno francese in Grecia come missione culturale, non di rapina. Risponde con forza all’immagine della cultura antica come schiavista, misogina e razzista. Non risolve, né potrebbe farlo, il problema più generale ma cruciale, quello della distanza tra azione militare, sia pure ‘guerra giusta’, politica e cultura.

Annalisa Paradiso

Richard Rogers nel ricordo di Renzo Piano. Gli intellettuali borghesi e il loro impegno per l’umanità futura.

‘Cosa mi resta di lui nel cuore? La consolazione che siamo ciò che abbiamo visto, i libri che abbiamo letto, le persone che abbiamo incontrato. Non saresti nessuno senza le letture, i film, i luoghi visitati, le persone cui hai voluto bene. Richard è una parte di me e questa consapevolezza, in qualche modo, mi consola in questo momento davvero triste.’

Richard Rogers e Renzo Piano hanno collaborato, negli anni Settanta, alla progettazione del Centre Pompidou parigino, il Beaubourg. Erano giovani e aperti al futuro. Inglese, nato a Firenze, alfiere di un’architettura etica, civile e democratica, Rogers ha firmato entre autres il Millennium Dome a Londra, il Palazzo dei Diritti dell’Uomo a Strasburgo, il Museo dell’Arte Islamica a Doha. Ha vinto il Premio Pritzker. Si è raccontato nell’autobiografia, intitolata, non a caso, A Place for All People: Life, Architecture, and the Fair Society (2017). È stato in sintesi un intellettuale borghese, appartenente a quella classe che sola ha agito in nome e per conto dell’umanità.

Annalisa Paradiso

In Flanders fields, the poppies blow Between the crosses, row on row – in memoria dei “militi ignoti” di tutte le guerre

I versi, famosissimi, di John McCrae rievocano la terribile battaglia di Passchendaele (la terza battaglia di Ypres), combattuta nelle Fiandre tra il luglio e il novembre 1917, tra i Britannici e i loro alleati e l’Impero tedesco. Il cimitero di guerra britannico aduna 1600 lapidi di soldati non identificati. Militi ignoti. Ma Rudyard Kipling scelse per l’epigrafe il biblico, e struggente, Known unto God, ‘noto a Dio’.

Nelle settimane che precedono la celebrazione del Remembrance Day, soldati e veterani della Royal British Legion offrono papaveri rossi di carta che si appuntano sulla giacca. Qualcuno però aggiunge o sostituisce al fiore rosso un papavero bianco, simbolo di pace.

We shall not sleep, though poppies grow

                       In Flanders fields

Annalisa Paradiso

La felicità alla fine dei tempi – lavoro “umano” e medicina “solidale” di Gino Strada.

‘Ormai solo in una sala operatoria riesco ad essere felice’.

Queste parole di Gino Strada – un soliloquio crepuscolare – disvelano un tratto autobiografico certo intenzionale e romantico. Ma non solo. Socchiudono l’uscio alla riflessione intima sull’autenticità della vita, quando si decide di non vivere più le vite dettate o ispirate da altri. Racchiudono la sintesi estrema di ciò per cui vale la pena di esistere, nata nel cuore di un uomo maturo e non più sensibile al denaro e agli orpelli mondani. Suggeriscono il valore fondante del lavoro per la dignità umana. E restituiscono il ricordo di un uomo a tratti impolitico, un medico di generosità suprema, abnegazione e altissimo senso dell’impegno umanitario. C’è ancora felicità alla fine dei tempi e molta abbraccia il lavoro.

Annalisa Paradiso