- Introduzione
Lo Smart Working fino all’arrivo della pandemia era una modalità di lavoro semi sconosciuta, tra le aziende, tra le Pubbliche Amministrazioni, nel mondo del lavoro in generale. La recente emergenza legata al Coronavirus ha ribaltato completamente la prospettiva, rimettendolo sotto la giusta prospettiva e sfruttando la sua principale caratteristica: quella di essere indipendente dal posto in cui si lavora. Questa sua caratteristica ha fatto sì che si potesse continuare a lavorare e ad evitare la diffusione del virus.
Durante questo periodo di crisi, secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, gli smart worker sono passati da 570.000[1] a oltre 8 milioni[2]. Questo dato è stato recentemente confermato dall’INAPP (Istituto Nazionale per le Analisi delle Politiche Pubbliche)[3] secondo cui oltre 7,2 milioni degli attuali occupati lavorano in Smart Working e di cui il 61% almeno 3 giorni a settimana.
Cercheremo di chiarire in dettaglio cosa significhi lavorare in modalità “Smart”, sia analizzandone la evoluzione normativa della legge sia approfondendo successivamente gli impatti benefici che ha avuto nella gestione del lavoro in piena emergenza Coronavirus. Si vedrà poi di individuare quali saranno le resistenze che bisognerà vincere per far sì che questa modalità di lavoro possa dispiegare i propri benefici sia nei confronti dei lavoratori che delle aziende e della PA.
- Excursus legislativo
Lo Smart Working è un modello organizzativo in grado di portare notevoli vantaggi alle organizzazioni che lo adottano: in termini di produttività, di raggiungimento degli obiettivi, ma anche in termini di welfare e qualità della vita del lavoratore.
Tuttavia, il concetto di Smart Working resta ancora oggi avvolto in un alone di confusione, sovrapposto a pratiche per certi versi simili come il Telelavoro e il Lavoro da Remoto, ma in realtà molto diverse. Iniziamo con una definizione.
Lo Smart Working, o Lavoro Agile, è una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati.
Un nuovo approccio al modo di lavorare e collaborare all’interno di un’azienda che si basa su quattro pilastri fondamentali:
- revisione della cultura organizzativa
- flessibilità rispetto a orari e luoghi di lavoro
- dotazione tecnologica
- spazi fisici
Lo smart Working è regolato dalla legge N. 81 del 22 Maggio 2017[4]
A livello giuridico, va dunque inteso come modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo scritto tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Altri elementi rilevanti sono:
- la parità di trattamento economico e normativo;
- il diritto all’apprendimento permanente;
- gli aspetti legati alla salute e alla sicurezza.
Su quest’ultimo aspetto i lavoratori che decidono di aderire a un accordo di Smart Working sono tutelati in caso di infortuni e malattie professionali per quelle prestazioni che decidono di effettuare all’esterno dei locali aziendali sia quando si trovano in itinere. Per superare questo vincolo burocratico in fase di emergenza pandemica è stata introdotta la procedura semplificata per l’accesso al lavoro agile, che non prevede di stipulare un accordo scritto con il lavoratore e che si basa esclusivamente sulla modulistica (un template per comunicare l’elenco dei lavoratori coinvolti) e sull’applicativo informatico resi disponibili dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Tuttavia nel 2022 questo non avviene ancora nel settore pubblico dove torna ad essere necessario un accordo tra le parti. Ricordiamo che nel decreto Legge cosiddetto “Cura Italia” [5] lo Smart working era obbligatorio ove possibile, e prorogato più volte fino al 31 Luglio 2021[6]. Dopo questa ultima data è stata tolta l’obbligatorietà, lasciando però la procedura semplificata fino al 31 Marzo 2022. Con il nuovo Decreto Covid del 17 Marzo viene prolungata la procedura semplificata fino al 30 Giugno, affiancato però dall’estensione della tutela prevista per i lavoratori fragili. La grande novità che darà una svolta alla contrattazione tra le parti quando si uscirà da questa fase ancora emergenziale è il protocollo nazionale dello Smart Working nel Settore privato[7] firmato il 7 Dicembre 2021 tra il Ministero del Lavoro e rappresentanze sindacali. Questo protocollo prevede innanzitutto, che l’adesione allo Smart Working avvenga su base volontaria ed è subordinata alla sottoscrizione di un accordo individuale, fermo restando il diritto di recesso.
In attesa di una nuova legge che ponga rimedio alle approssimazioni e lacune della legge N. 81 del 22 Maggio 2017, questo protocollo fornisce tutti gli strumenti necessari per una regolamentazione strutturata dello Smart Working nella contrattazione di secondo livello.
- Lo Smart Working nella PA
Per quanto riguarda l’applicazione nella PA, questa legge ha avuto una evoluzione con la riforma Madia[8] che introduceva il tema dello Smart Working. Tuttavia nella PA non ha avuto quel salto dimensionale che ci si aspettava per due motivi.
Una prima motivazione è che la norma introdotta, benché sufficientemente chiara dal punto di vista degli obblighi e delle scadenze, non prevedeva specifiche risorse e misure di accompagnamento a disposizione né tanto meno sanzioni in caso di mancato rispetto dei termini.
Una seconda motivazione, ancora più profonda, risiede nel fatto che l’innovazione organizzativa non può essere imposta per decreto come purtroppo nel settore pubblico si tende a pensare: le difficoltà incontrate mettono in evidenza come, per rendere possibile un vero passaggio allo SW nella PA, occorra cambiare prospettiva e non vedere e presentare questa iniziativa solo come un mero adempimento normativo, ma come un cambiamento culturale che deve passare da un coinvolgimento dei lavoratori e, soprattutto, da un’adesione vera ai nuovi principi organizzativi da parte del management della PA.
Questo perché una visione “legalista” (o formalistica), oltre a contrastare con lo spirito stesso dello SW, limita molto la portata dei progetti portando gli enti pubblici meno convinti a fare il minimo indispensabile e non consentendo all’organizzazione di cogliere le reali opportunità che il cambiamento permetterebbe di ottenere. Per fare questo, occorre che ciascuna PA sia stimolata ad interpretare lo Smart Working in base alle proprie esigenze e caratteristiche, come un’opportunità di trasformazione della cultura dell’ente e di innovazione del modello di servizio al cittadino, facendo tesoro di altre esperienze già presenti nel comparto pubblico.
- Lo Smart Working nelle Imprese
Come abbiamo potuto vedere negli ultimi due anni, grazie alla pandemia, c’è stata una forte accelerazione, anche legislativa, dello Smart Working. Si sta passando da un approccio al lavoro “di nicchia” a una forma di lavoro globalmente strutturato soprattutto grazie al protocollo nazionale dello Smart Working nel Settore privato[9] e agli incentivi legati alla digitalizzazione delle industrie soprattutto delle PMI.
Per le grandi imprese la sfida dei prossimi anni sarà quella di far superare allo Smart Working lo status di “progetto” o iniziativa specifica, per rendere tale approccio il nuovo modo di lavorare, introducendo nuovi e più profondi sistemi di engagement. Ovvero bisogna riuscire a coinvolgere i lavoratori non soltanto nel “come” realizzare un lavoro ma anche nel “cosa” bisogna fare e “perché” farlo nell’interesse dell’impresa e delle sue esigenze e finalità.
- Conclusioni
Ovviamente la crisi conseguente al Coronavirus ha accelerato il processo ma i problemi legati alla sua introduzione sistematica nelle aziende è ancora sul tavolo.
Occorre sottolineare ancora una volta che quello che organizzazioni e persone stanno vivendo non è il “vero” Smart Working, ma un lavoro da remoto forzato ed estremo, che porta con sé anche alcune criticità tipiche del telelavoro: senso di isolamento, difficoltà a disconnettersi e a mantenere un equilibrio tra vita privata e professionale.
Pur al netto di questa inevitabile “forzatura”, organizzazioni e persone hanno compiuto in questi due anni un percorso di apprendimento e crescita di consapevolezza che, in condizioni “normali”, avrebbe richiesto molti più anni! Molte persone stanno imparando ad utilizzare strumenti di collaborazione innovativi, a relazionarsi e coordinarsi efficacemente in team dispersi, a mantenere relazioni informali positive attraverso una molteplicità di strumenti digitali. Molti manager e lavoratori, un tempo scettici nei confronti dell’applicazione dello Smart Working, si sono resi conto di quante attività, che avevano sempre assunto richiedessero la presenza in ufficio, possano essere fatte da remoto attraverso strumenti digitali, con una efficacia pari o superiore e con risparmio di tempi ed energie (anche fisiche) prima insospettabili.
Tuttavia il problema più grande che bisognerà risolvere per rendere maturo lo Smart Working, è ripensare tutta l’organizzazione del lavoro in una ottica “result oriented”.
Per applicare lo Smart Working nelle aziende bisogna agire sulle leve seguenti:
- rendere più flessibili gli spazi e gli orari di lavoro;
- ripensare gli ambienti della sede di lavoro;
- sviluppare nuovi strumenti e competenze digitali;
- dotarsi della tecnologia adeguata per lavorare da remoto;
- diffondere modelli manageriali basati su autonomia, consapevolezza e responsabilità dei lavoratori;
- diffondere cultura orientata ai risultati.
I primi 4 punti non sono mai un problema per una grande impresa e comunque sono stati normati con il protocollo nazionale dello Smart Working nel Settore privato. Inoltre, per chi si trovasse in difficoltà con la dotazione tecnologica, attingendo ai fondi del PNRR[10] sarà possibile recuperare il gap. I problemi risiedono nei punti 5 e 6 che riguardano diffusamente sia il mondo industriale, grande e piccolo, e sia la PA e sono direttamente legati alla qualità del management e al coinvolgimento partecipato, nelle scelte organizzative dell’area e/o settore e in quelle più ampie, strategiche dell’azienda privata o nella branca specifica della PA dei lavoratori. Per questi ultimi, l’obiettivo del lavoro agile non deve essere solo quello di una maggiore flessibilità, ma piuttosto quello di un pieno coinvolgimento dei soggetti interessati.
Per quanto riguarda il management, questo risente pesantemente dell’inaridimento culturale progressivo degli ultimi vent’anni. Una volta i grandi gruppi industriali, Telecom, Eni, Enel avevano le scuole di formazione dei loro quadri dirigenti dove venivano istruiti alle migliori pratiche gestionali. Ora queste scuole non esistono più e i risultati si vedono. Spesso i manager vivono all’interno dei loro fogli Excel completamente staccati dal processo produttivo e dove i loro obiettivi annuali, a cui sono spesso legati lauti premi in denaro, consistono nel far lavorare i loro team per un certo numero di ore. Quindi sono molto spesso rapporti di lavoro basati sull’autorità piuttosto che sull’autorevolezza. Non di rado i clienti instaurano direttamente rapporti fiduciari con i lavoratori che stanno, per così dire, “sul pezzo”, così spesso l’inadeguatezza del management traspare in maniera evidente anche ai clienti finali.
In questa situazione, la legge 81 del 2017 è risultata “visionaria” circa lo smart working, con un’encomiabile ed ottimistica lettura del mondo industriale, ipotizzando quello che il mondo industriale dovrà diventare perché il progresso legato alla digitalizzazione è inarrestabile e inevitabile. È un po’ quello che è successo con lo Statuto dei lavoratori del 1970 che aveva codificato la maturazione dei diritti dei lavoratori e la aveva imposta per legge. Ora la differenza tra la legge 300 del ‘70 e la legge 81 del 2017 è che la seconda ha costruito un cappello normativo a chi vuole adottare lo Smart Working evitando fughe in avanti e distorsioni mentre la prima ha riconosciuto dei diritti sacrosanti di tutti i lavoratori che fino a quel punto erano stati alla mercé dei datori (privati e, un po’ meno, pubblici) cambiando radicalmente la vita dei lavoratori nelle fabbriche e negli uffici. Detto così sembrerebbe che la legge sullo Smart Working abbia una forza legislativa minore. In realtà non è così perché il legislatore ha capito, prima della gran parte degli industriali, che la spinta produttiva di moltissimi lavoratori potrebbe aumentare, migliorando al tempo stesso per loro la conciliazione tempo vita-tempo lavoro. È, a parere non solo mio, una intuizione eccellente perché prefigura quello che solitamente si dovrebbe fare nelle industrie che lavorano con beni immateriali, quelli che una volta si chiamavano lavori di concetto, e cioè il gioco di squadra. Il gioco di squadra migliora il rendimento. È un modo di gestire aziende private ed Enti della PA che consente di avere un lavoro finale che è più grande della sommatoria dei singoli lavori svolti dai singoli lavoratori. Chi ha avuto la fortuna di provarlo sa di cosa si sta parlando. Questi due anni di “palestra” hanno dimostrato la validità di quella intuizione legislativa e le aziende più “illuminate” hanno deciso di non tornare più indietro rispetto a questa nuova modalità di lavoro.
Tuttavia ne restano ancora tante di organizzazioni private e pubbliche che hanno delle ingiustificate riserve verso lo Smart Working, legate soprattutto alla loro arretratezza culturale e non ad oggettivi motivi ostativi.
Ecco perché in questo quadro normativo, il tema del controllo da parte delle imprese sul lavoratore in modalità agile, perde la sua forza, perché questa modalità si fonda sulla fiducia reciproca che nessuna legge potrà mai regolare fino in fondo. Lo Smart Working o è su base fiduciaria, o non è.
A tutto questo si oppongono tutte le forze conservatrici che misurano il lavoro “da quanto tempo tieni le gambe sotto la scrivania”. A costoro interessa avere i lavoratori tutti nell’ovile. La presenza fisica dei lavoratori è il certificato di esistenza in vita di questo management, ancorato ai vecchi schemi e che vedono, in un vetusto e piatto modello fordista delle imprese, l’unico modello possibile. Molti di loro gestiscono i permessi e poco più. Se si dovesse diffondere lo Smart Working, questi manager si troverebbero in difficoltà per far capire la loro esistenza lavorativa. In conclusione credo che i lavoratori, sia pubblici che privati, devono faticare non poco a far sì che si imponga questo nuovo modello di lavoro, in tutte le situazioni dove questo è possibile. In questo senso il Coronavirus ha dato il suo contributo perché ha costretto molte aziende, “obtorto collo”, ad applicarlo ma solo in ottica di riduzione del danno non certo perché convinti della bontà del modello. Ora, a crisi in via di esaurimento, molti passi avanti si sono fatti. Resta forse la parte più complessa: il pieno e consapevole endorsement da parte dell’industria e della PA.
Pasquale Maiorano
[1] https://www.digital4.biz/hr/smart-working/osservatorio-smart-working-2019/ Mariano Corso Docente di Leadership & Innovation del Politecnico di Milano e Responsabile Scientifico di P4I-Partners4Innovation
[2]https://www.ilsole24ore.com/art/lavoro-cgil-8-milioni-italiani-smart-working-epidemia-covid-19-AD7aAMR
[3] https://www.inapp.org/it/inapp-comunica/sala-stampa/comunicati-stampa/oltre-72-milioni-di-occupati-lavorano-da-remoto
[4]https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/06/13/17G00096/sg
[5] https://www.ticonsiglio.com/wp-content/uploads/2021/08/decreto-legge-17-marzo-2020-n-18.pdf
[6] https://www.ticonsiglio.com/wp-content/uploads/2021/04/decreto-legge-52-del-22-aprile-2021.pdf
[7] https://www.ticonsiglio.com/wp-content/uploads/2021/12/protocollo-nazionale-lavoro-agile-7-12-21.pdf
[8]http://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/dipartimento/01-06-2017/direttiva-n-3-del-2017-materia-di-lavoro-agile
[9] https://www.ticonsiglio.com/wp-content/uploads/2021/12/protocollo-nazionale-lavoro-agile-7-12-21.pdf
[10] https://www.industriaitaliana.it/mise-pnrr-digitalizzazione-transizione-4-0/