Bandiere di guerra ed art. 18…salvo intese
Clint Eastwood ha prodotto e diretto, tra gli altri, due film il primo del 2006 Flags of Our Fathers è un film basato sull'omonimo libro, che descrive la battaglia di Iwo Jima dal punto di vista dei marines americani. Il secondo film, intitolato “Lettere da Iwo Jima”, ricorda la stessa battaglia, riportando il punto di vista giapponese, cioè l’ottica dei perdenti.
Senza attendere anni, già tra qualche giorno potremo leggere interpretazioni del tutto contrastanti sulla “battaglia” dell’art. 18…si parva licet.
“I soliti noti”, i banchieri, approfittando della cortina fumogena più o meno abilmente diffusa nell’informazione, attraverso tutti i mass media, dello scontro tra parti sociali e Governo sui problemi del mercato del lavoro, con un rapido colpo di mano, hanno reinvestito i 29 miliardi messi a disposizione dalla BCE. Si è, così, preclusa per le piccole e medie imprese la possibilità di riprendere respiro con l’accesso al credito, mentre le banche hanno guadagnato lo spread (questa volta sì!) tra l’1% pagato e il 4,5% incassato, investendo e speculando sul nostro debito pubblico in maniera piratesca e da veri avvoltoi: altro che bandiere agitate o ammainate sulla spiaggia di Iwo Jima da americani vincenti e giapponesi perdenti!
In questi mesi, attraverso decreti ottimisticamente chiamati “Salva Italia”, “ Cresci Italia”… e chi più ne ha più ne metta, sembra che l’attività di formazione delle leggi attraverso il normale iter di democrazia parlamentare sia caduto in un pericoloso torpore. Bisogna dire, tuttavia, che la giusta scelta del nostro Capo dello Stato, quella di sospendere temporaneamente l’ordinario “sclerotizzato” percorso della democrazia parlamentare, dopo una paurosa parabola verso il disfacimento delle Istituzioni, passando per ridicole sovraesposizioni del precedente Governo e del suo Capo, soprattutto attraverso una corruzione dilagante ancora in atto, si è rivelata vincente. La palude melmosa dell’immobilismo degli ultimi anni è stata rapidamente prosciugata attraverso iniziative governative, spesso non del tutto felici, nei contenuti e nelle forme, che hanno messo mano ed iniziato a modificare equilibri troppo consolidati con conseguenti rendite di posizione. E’ il caso della riforma del regime pensionistico, con la ripresa di un discorso iniziato quasi 20 anni addietro con il Governo Dini, oggi portato a dignità europea anche se sussistono dubbi e preoccupazioni per lo scoordinamento tra l’età lavorativa, quella anagrafica e precedenti sistemi di versamenti dei contributi. E’ il caso, ancora, delle liberalizzazioni per le quali il decreto definitivamente trasformato in legge, pur con notevoli amputazioni e contraddizioni, ha avvicinato il nostro Paese agli altri sistemi europei.
Nel caso del mercato del lavoro e della sua indifferibile riforma, tornando alla metafora delle “bandiere” di Clint Eastwood, il tam-tam scatenato sull’art. 18 dello Statuto del 1970 – con riferimento al modello tedesco in tema di condanna risarcitoria o di reintegrazione - ha confuso e continua a confondere le idee di tutti gli operatori economici, sociali, sindacali e, forse più di tutti, di quelli del mondo del diritto del lavoro. Ovvietà ed imprecisioni, come nel caso dei licenziamenti discriminatori, secondo la migliore dottrina, da sempre nulli, non solo per espresso dettato normativo, si sono intrecciate con avventate, ora ingenuamente, ora callidamente, distinzioni tra soggettività ed oggettività delle cause giustificatrici dei licenziamenti. Sembra di assistere al revival dell’ossessiva battaglia condotta dal precedente Ministro del Welfare, tutta impegnata nella bandiera da ammainare: la reintegrazione del lavoratore, come prima mossa per lo smantellamento dello Statuto dei Lavoratori.
Sembra quasi che si debba (o si voglia?) dimenticare il grande problema che da sempre blocca il nostro Paese e che consiste nel basso tasso di impiego di potenziali lavoratori (giovani e donne in particolare) rispetto alla media europea ed ai Paesi più avanzati all’interno dell’Europa oggi ormai a 27. Così, non si approfondiscono le pur interessanti nuove ipotesi, tutte da sviluppare, della c.d. “flessibilità in entrata” per rilanciare una prospettiva di incremento dell’occupazione e conseguentemente del pil ad oggi previsto nel breve periodo bassissimo rispetto a quello degli altri Paesi.
Si perde di vista anche l’importanza di una riforma in termini di economicità, efficienza e produttività economica generale, degli ammortizzatori sociali CIGO, CIGS e mobilità, magari lanciando originali, quanto improbabili, nuovi istituti come l’Aspi (una specie di Araba Fenice, senza copertura finanziaria programmata per rispondere al dramma della disoccupazione) e si discetta con abili dispute neo-sofistiche sui licenziamenti individuali…economici.
Per chiudere il discorso si potrebbe usare l’antica frase: siamo alla finestra per vedere…che tempo fa o farà, magari auspicando di non dover rifugiarci nell’antico brocardo politichese: “piove…governo ladro”.
Ma forse è meglio intervenire, al più presto, ognuno per sé e per le sue capacità, possibilità e responsabilità, per predisporre tutti gli strumenti, dall’ombrello, se dovesse piovere, atti a prevenire aggravamenti di una situazione sociale che, con questa impressionante congerie di proposte, smentite alle proposte, controproposte e smentite delle stesse, rischia di portarci ad un ulteriore decreto che dopo il “salva” e dopo il “cresci”, dall’antica “Forza Italia”, potrebbe portarci ad una “Povera Italia”, per occupazione, per crescita e partecipazione democratica nuocendo alla vita di un Paese che ha urgente bisogno di ricollocarsi tra quelli alla testa di una ripresa globale sempre più indifferibile.
Prof. Gaetano Veneto