Sommario: 1. Poteri istruttori ex art. 421 c.p.c. – 2. Irregolarità degli atti - 3. Divieto dell’intervento diretto del Giudice – 4. Piste probatorie – 5. I poteri istruttori del Giudice nel processo penale ed in quello civile – 6. Utilizzo improprio di tali poteri – 7. Poteri istruttori in appello – 8. Considerazioni.
l (1) Il processo del lavoro in vigore dal 1973[1] prevede all’art. 421 c.p.c. la possibilità che il Giudice intervenga in qualsiasi momento nell’attività istruttoria espletata su richiesta delle parti al fine di sanare eventuali irregolarità degli atti e, se necessario, di integrarla.
In particolare, il Giudice può disporre di ufficio l’ammissione di ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile.
Una prima lettura dell’articolo 421 c.p.c. non coordinata con quanto previsto dall’intera normativa del processo del lavoro potrebbe lasciare intendere che per l’esercizio di tali poteri istruttori da parte del Giudice sia concessa così tanta discrezionalità da non sussistere alcun limite.
Ma ciò sarebbe in evidente contrasto con la ratio dell’intero processo del lavoro che seppur improntato ai principi chiovendiani dell’oralità, concentrazione ed immediatezza, resta sempre un giudizio civile promosso da una parte che, anche ai fini dell’attività istruttoria da espletarsi, è tenuta a pena di decadenza a formulare le richieste nel proprio ricorso così come il convenuto deve farlo con la sua comparsa di costituzione da depositare dieci giorni prima dell’udienza[2].
Ciò lascia intendere che l’attività istruttoria del Magistrato dovrebbe essere di mero completamento a quella richiesta dalle parti non essendogli consentito sostituirsi per le incombenze poste, a pena di decadenza, a carico delle stesse.
La giurisprudenza, soprattutto di legittimità, è intervenuta a più riprese per delimitare l’esercizio dei poteri di cui all’art. 421 c.p.c..
Tuttavia, nella pratica, spesso il Magistrato del Lavoro di fatto sopperisce alle negligenze delle parti che “dimenticano” le proprie richieste ponendo così in discussione anche la sua stessa garanzia di imparzialità.
Il Giudice del Lavoro, secondo quanto previsto dall’art. 421 c.p.c. può disporre d’ufficio, in qualsiasi fase, l’espletamento di ogni mezzo di prova nei limiti stabiliti dal codice di procedura civile, “… anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile …” compresa la prova testimoniale (artt. 2721-2726-2729-2735) fatta eccezione del giuramento decisorio[3].
Il Giudice può sempre ordinare la comparizione delle parti per interrogarle liberamente, disporre l’accesso sul luogo di lavoro ed anche ascoltare i testimoni sul medesimo posto, qualora ne ravvisi l’utilità.
Inoltre, può autorizzare la sostituzione della verbalizzazione da parte del cancelliere con la registrazione sul nastro (art. 422 c.p.c.), e nominare in qualsiasi momento un consulente tecnico, se la natura della controversia lo richieda (ad es.: al fine di verificare o elaborare conteggi analitici relativi alla richiesta di emolumenti o differenze retributive).
Egli può inoltre concedere un termine al C.T.U. (consulente tecnico d’ufficio) per elaborare e depositare la relazione scritta sulle attività tecniche svolte per il cui espletamento l’art. 424 c.p.c. prevede un termine improrogabile non superiore a 20 giorni, termine che nella pratica viene di fatto ampiamente disatteso essendo le parti spesso costrette a pazientare anche per molti mesi.
Può disporre d’ufficio la richiesta di informazioni ed osservazioni, sia scritte che orali, alle associazioni sindacali indicate dalle parti che ai sensi degli artt. 421 co. 1 e 425 c.p.c. “non hanno un’autonoma valenza probatoria ma forniscono chiarimenti ed elementi di valutazione in ordine a dati fattuali già acquisiti al processo”[4].
Tali informazioni possono essere rese anche nel luogo di lavoro, ove sia stato disposto l’accesso ex art. 421, co. 3.
Il Giudice può, altresì, richiedere alle OO.SS. il testo dei contratti collettivi di lavoro di categoria necessari alla verifica delle disposizioni normative ed economiche, se ed in quanto applicabili alla controversia in corso.
Per quanto concerne le prove testimoniali sono superabili i limiti stabiliti dal codice civile agli artt. 2721 (limiti di valore), 2726 (prova del pagamento e della remissione), 2729 (presunzioni semplici), 2735 (confessione stragiudiziale), ad eccezione del giuramento decisorio, mentre non lo sono i limiti fissati dall’art. 2725 cod. civ., 2731 (capacità richiesta per la confessione), 2737 (capacità delle parti), 2739 (giuramento)[5]. Ulteriore limite che il Giudice può superare nell’acquisizione delle prove testimoniali è quello previsto dall’art. 1417 cod. civ. in tema di simulazione[6].
l (2) Sempre il primo comma dell’art. 421 c.p.c. riconosce altresì al Giudice l’onere di indicare in ogni momento alle parti le irregolarità degli atti e dei documenti che potrebbero essere sanate previa concessione di un termine per provvedervi (salvo gli eventuali diritti quesiti), intendendo per tali irregolarità le nullità sanabili, come può essere a titolo puramente esemplificativo il mancato deposito di una procura generale alle liti per atto notarile, seppur richiamata nei suoi estremi nell’atto di parte.
Tuttavia, qualora l’altra parte abbia preventivamente eccepito tale irregolarità nel tempo utile per consentire all’interessato di porvi rimedio non potrà trovare applicazione la possibilità di cui al primo comma dell’art. 421 c.p.c..
Nel rito del lavoro se la parte abbia, con l'atto introduttivo del giudizio, proposto capitoli di prova testimoniale, specificamente indicando di volersi avvalere del relativo mezzo in ordine alle circostanze di fatto ivi allegate, ma non indicando le generalità delle persone da interrogare, tale omissione non determinerà decadenza dalla relativa istanza istruttoria, ma concreterà una mera irregolarità, che abilita il giudice all'esercizio del potere-dovere di cui all'art. 421, comma primo, c.p.c.. Per cui, in sede di pronuncia dei provvedimenti istruttori di cui all'art. 420 stesso codice, il giudice, ove ritenga l'esperimento del detto mezzo pertinente e rilevante ai fini del decidere, deve indicare alla parte istante la riscontrata irregolarità che allo stato non consente l'ammissione della prova, assegnandole un termine perentorio per porvi rimedio secondo quanto previsto dalla norma da ultimo citata, pena la decadenza in caso di mancata ottemperanza.
L’art. 244 c.p.c. attribuisce al giudice un potere discrezionale circa l'assegnazione di un termine per formulare o integrare le indicazioni relative alle persone da interrogare (o ai fatti sui quali debbano essere interrogate); una volta che il giudice abbia esercitato tale potere, definisce il termine come perentorio, precludendo così la possibilità di concedere ulteriori dilazioni.
L'inosservanza del nuovo termine concesso, preclusivo ad ulteriori dilazioni comporterà la decadenza dalla prova, rilevabile anche d'ufficio e non sanabile nemmeno sull'accordo delle parti[7].
l (3) Spesso l’uso di tali poteri vanifica le “regole processuali” e sostanzialmente non tiene più conto di preclusioni o decadenze, lasciando ampi spazi discrezionali al Magistrato, che col suo intervento sopperisce sostanzialmente alle negligenze delle parti.
A tal proposito è intervenuta la giurisprudenza di legittimità, chiarendo che l’attribuzione al Giudice dei poteri istruttori incontra dei limiti, dovendosi rispettare l’onere di deduzione in giudizio esclusivamente a carico delle parti di fatti costitutivi, impeditivi o estintivi del diritto.
Va quindi rispettato il divieto dell’intervento diretto del Giudice, qualora la parte non abbia tempestivamente allegato i predetti fatti.
I poteri istruttori del Giudice, però, non devono estendersi al punto tale da costituire un vero e proprio rimedio alle irrituali richieste delle parti.
Non si pone invece alcuna questione di preclusione o decadenza processuale a carico della parte, quando la prova “nuova” viene disposta di ufficio al solo scopo di approfondimento ritenuto indispensabile di elementi probatori già obiettivamente presenti nella realtà del processo.
Il Giudice ha il potere di disporre l’assunzione dei mezzi di prova anche al di fuori di quelli offerti dalle parti.
Questa disposizione non esorbita dall’ambito probatorio e non pregiudica il principio della disponibilità dell’oggetto del processo, ma non investe neppure il tema delle cd. prove atipiche, né la regola principale del giudizio basato sull’onere della prova.
Tuttavia, il Giudice nell’esercizio dei suoi poteri è vincolato da un rigoroso limite preclusivo della possibilità di disporre prove d’ufficio in ordine a fatti non allegati dalle parti[8].
Secondo la dottrina l’esercizio del potere di ufficio è del tutto discrezionale e pertanto sottratto al sindacato di legittimità[9].
l (4) L’orientamento giurisprudenziale più prudente – che si condivide – consente al Giudice di poter intervenire, disponendo d’ufficio i mezzi di prova rivenienti dall’esposizione dei fatti, ma non di sostituirsi alla parte che non abbia allegato fatti rilevanti e non abbia neanche implicitamente dedotto dei mezzi di prova. Non è consentito in questi casi al Giudice di incamminarsi sulle cosiddette “piste probatorie”.
“Nel rito del lavoro, l'attribuzione al giudice di poteri istruttori d'ufficio, ai sensi dell'art. 421, comma 2, c.p.c., incontra un duplice limite, poichè, da una parte, deve rispettare il principio della domanda e dell'onere di deduzione in giudizio dei fatti costitutivi, impeditivi o estintivi del diritto controverso e, dall'altra, deve rispettare il divieto di utilizzazione del sapere privato da parte del giudice, sicchè - in sostanza - la norma dispensa la parte dall'onere della formale richiesta della prova e dagli oneri relativi alle modalità di formulazione dell'oggetto della prova, ma richiede pur sempre che, dall'esposizione dei fatti compiuta dalle parti o dall'assunzione degli altri mezzi di prova, siano dedotti, sia pure implicitamente, quei fatti e quei mezzi di prova idonei a sorreggere le ragioni della parte e a decidere la controversia, e cioè che sussistano significative piste probatorie emergenti dagli atti di causa”[10].
Deve pertanto ritenersi escluso l'esercizio dei poteri ex art. 421 c.p.c. quando i fatti dedotti dal ricorrente siano sforniti di un minimo supporto probatorio e per la loro genericità non facciamo desumere quale sia stata l'attività concretamente svolta.
In conclusione qualora il materiale probatorio già acquisito sia tale da non offrire significative piste di indagine il Giudice non è tenuto ad attivare i suoi poteri ufficiosi[11].
l (5) I poteri istruttori del Giudice nel processo civile sono previsti da numerose disposizioni del Codice di Procedura Civile. In particolare l’art. 183, 8° co. (così come modificato dalla L. 23/02/2006 n. 51 ed entrato in vigore il giorno 01/03/2006) contempla la possibilità che il Giudice disponga di ufficio mezzi di prova con l’ordinanza di cui al precedente comma.
Egli concederà un termine perentorio per il deposito di memoria.
Anche in questo caso, secondo gli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, il provvedimento con il quale il Giudice ai sensi dell’art. 184 c.p.c. e dell’art. 111 della Costituzione (“giusto processo”) esplicita le ragioni per le quali reputa di far ricorso all’uso dei poteri istruttori, (ovvero ritenga di non farvi ricorso), può essere sottoposto al sindacato di legittimità per vizio di motivazione qualora non sia sorretto da congrua e logica spiegazione per non aver fatto espletare i mezzi istruttori relativi al punto della controversia che, se esaurientemente istruito, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione[12].
Nel processo penale l’art. 507 c.p.p. prevede l’ammissione di nuove prove da parte del Giudice il quale, però, a differenza di quanto accade nel giudizio civile e in quello del lavoro, soltanto terminata l’acquisizione delle prove, qualora risulti assolutamente necessaria può disporre anche d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova.
Il Giudice ha l’obbligo, a pena di nullità della sentenza, di acquisire anche d’ufficio ex art. 507 c.p.p. i mezzi di prova indispensabili per la decisione, non essendo rimessa alla sua discrezionalità la scelta tra disporre i necessari accertamenti ed il proscioglimento dell’imputato. Pertanto il Giudice deve motivare specificamente in ordine al mancato esercizio dei poteri di integrazione probatoria e l’assenza di una adeguata motivazione censurabile in sede di legittimità determina una violazione di legge dalla quale deriva la nullità della sentenza[13].
Nel giudizio civile pertanto ed in quello di lavoro l’esercizio dei poteri istruttori ha una funzione di mera integrazione dell’iniziativa probatoria delle parti ma non certo suppletiva, caratteristica precipua del processo penale dove l’art. 507 c.p.p. concede al Giudice un ampio potere-dovere che deve essere esercitato dal Giudice, a pena di nullità della sentenza, quando risulti assolutamente necessario anche con riferimento ai testimoni del P.M. preventivamente ammessi, ma non citati per l’inerzia della parte[14].
Nel giudizio penale l’esigenza di accertare la verità impone al Giudice, quando lo ritenga assolutamente necessario, di disporre attività istruttoria suppletiva a quella non richiesta dalle parti.
Nel procedimento penale il giudice, ai sensi e per gli effetti dell’art. 507 c.p.p., può disporre l’espletamento di nuovi mezzi di prova anche nel caso in cui non vi sia stata precedente acquisizione quand’anche le parti avrebbero potuto chiederla, purchè l’iniziativa probatoria sia assolutamente necessaria ai fini dell’assunzione di una prova decisiva sempre nell’ambito delle prospettazioni delle parti, non potendo il giudice autonomamente coltivare ipotesi alternative giacchè in tal caso si violerebbe il principio fondamentale di terzietà della giurisdizione[15].
Quando il Giudice fa uso dei propri poteri istruttori (oppure non li utilizza nonostante la necessità) deve motivare la sua decisione e tale motivazione sarà sindacabile in sede di legittimità.
Si precisa che nel processo del lavoro la motivazione, ai fini della sindacabilità, deve essere richiesta espressamente dalla parte al momento della decisione del Magistrato e ciò perché in questo giudizio (a differenza di quello penale) non è sindacabile la decisione ex art. 421 c.p.c., perché esercizio di un potere discrezionale.
(6) Il Magistrato non può disporre “d’ufficio” l’intera attività istruttoria mai richiesta neanche indirettamente da una delle parti, ad esempio ordinando alla ditta convenuta la produzione di tanti documenti per poi scegliere nominativi di testimoni ricavati dalla narrativa del ricorso introduttivo e disporre una C.T.U. senza che mai il ricorrente abbia prodotto una dettagliata relazione tecnica di parte (elemento essenziale a fondamento di una domanda ex art. 414 nn. 3 e 4 c.p.c.)[16].
Il Giudice del Lavoro non può disporre C.T.U. se ad esempio il ricorrente nel chiedere le differenze retributive non produca conteggi analitici e relativi riferimenti tecnici ma soprattutto non può disporlo senza che vi siano elementi tali da far ritenere almeno indirettamente che il ricorrente intendesse farne richiesta.
L’adozione di simile metodo desta non poche perplessità, poiché l’uso eccessivo dei poteri di cui all’art. 421 c.p.c. in spregio alla stessa normativa e ai costanti insegnamenti della S.C. di Cassazione[17] crea non pochi dubbi sull’imparzialità del Giudicante ed inevitabilmente la decisione risulterà condizionata dalla impostazione unilaterale prospettata dal ricorrente negligente.
Come già accennato, il Giudice del Lavoro non è chiamato a sopperire alle negligenze delle parti che sono tenute a pena di decadenza (altrimenti a che serve stabilire un termine “a pena di decadenza”?) a formulare le proprie richieste istruttorie a sostegno delle loro tesi nei perentori termini di legge, ma può soltanto integrare il quadro probatorio delineato dalle parti colmando eventuali lacune delle risultanze di causa[18].
I poteri istruttori del giudice ex art. 421 c.p.c. - pur diretti alla ricerca della verità, in considerazione della particolare natura dei diritti controversi - non possono sopperire alle carenze probatorie delle parti, nè tradursi in poteri d'indagine e di acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale[19].
La nuova prova disposta di ufficio deve essere soltanto l’approfondimento, ritenuto indispensabile, di elementi probatori già obiettivamente presenti nella realtà del processo[20].
Insomma si tratta di stabilire fino a che punto possa “spingersi” il Magistrato nell’esercitare i poteri ex art. 421 c.p.c. e se possa superare preclusioni e decadenze nelle quali siano incorse le parti con il pericolo che la imparzialità del Giudice non sia più garantita.
Secondo un orientamento giurisprudenziale del 1996 “l’esercizio del potere istruttorio di ufficio rientra nella discrezionalità del Giudice il cui mancato esercizio non sarebbe sindacabile in sede di legittimità…”.
Ma, aderendo al recente orientamento della Giurisprudenza di legittimità, se la parte dovesse richiedere la motivazione sull’esercizio del potere discrezionale, il Giudice dovrà dar conto delle proprie scelte,[21] ed in questo caso la decisione sarebbe sindacabile in sede di legittimità (si veda avanti Cass. Sez. Lav. n. 4611/2006 già citata).
l (7) Il Giudicante può far uso di tali poteri istruttori anche in grado di appello, secondo quanto stabilito dall’art. 437 c.p.c., ove reputi insufficienti le prove già acquisite esercitando il potere dovere di provvedere di ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale probatorio e idonei a superare l’incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione, semprecchè tali fatti siano stati puntualmente allegati nell’atto introduttivo non verificandosi così alcun superamento di eventuali preclusioni o decadenze processuali[22].
Nel processo del lavoro, l'esercizio dei poteri istruttori d'ufficio in grado d'appello presuppone la ricorrenza di alcune circostanze:
- l'insussistenza di colpevole inerzia della parte interessata, con conseguente preclusione per inottemperanza ad oneri procedurali;
- l'opportunità di integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti;
- l'indispensabilità dell'iniziativa ufficiosa, volta non a superare gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta istruttoria o a supplire ad una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della domanda, ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze di causa[23].
L’art. 437, comma 2, c.p.c. attribuisce al giudice di appello incisivi poteri istruttori in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della controversia, indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti e pur in assenza di una specifica richiesta delle parti in causa. Ne consegue che, allorquando le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, anche il giudice di appello, ove reputi insufficienti le prove già acquisite, non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull'onere della prova, ma ha il potere-dovere di provvedere d'ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale ed idonei a superare l'incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione[24].
Infine, nel giudizio di rinvio, con riferimento al rito del lavoro, i limiti all’ammissione delle prove concernono l’attività delle parti e non si estendono ai poteri del giudice, che potrà comunque far riferimento soltanto al materiale probatorio ritualmente acquisito nella fase processuale antecedente al giudizio di cassazione [25].
l (8) Soltanto nel processo penale il Giudice esercita i suoi poteri istruttori anche in forma suppletiva, mentre nel giudizio di lavoro così come in quello civile il Giudice può limitarsi ad integrare l’attività istruttoria già espletata avendo cura, qualora gli venga richiesto, di motivare la sua decisione che in questo caso potrebbe essere oggetto anche di sindacato di legittimità.
L’utilizzo di quanto disposto dall’art. 421 c.p.c. deve però rigorosamente essere contenuto nei limiti stabiliti sia dalla ratio della stessa normativa del processo del lavoro sia dai costanti insegnamenti della giurisprudenza di legittimità che, peraltro, ha fatto propri autorevoli pareri dottrinali.
Inoltre, i poteri di cui all’art. 421 c.p.c. devono essere utilizzati in forma prudenziale poiché ci sarebbe il rischio fondato di ledere la effettiva imparzialità dello stesso Giudice.
Non sussiste il principio di dover a tutti i costi accertare la verità come nel processo penale : in questo caso la controversia può anche avere un esito negativo soltanto perché la parte non è stata adeguatamente diligente e ciò senza che possa sperare di essere “aiutata” dallo stesso Magistrato, il quale non deve neanche avviarsi in piste probatorie se dall’attività istruttoria non siano emersi elementi idonei a rendere verosimile quanto dedotto da una delle parti.
Sarà opportuno perciò che in un progetto di riforma vengano anche previste regole più specifiche (e soprattutto chiare!) che non consentano più al Giudice di agire in assoluta libertà e secondo il proprio potere discrezionale impedendogli di adattare, secondo personali criteri, le norme per l’esercizio dei poteri istruttori.
Antonio BELSITO
Avvocato lavorista del Foro di Trani
Docente Scuola di Specializzazione per le
Professioni Legali – Università di Bari - MARZO 2007
* Tratto da Diritto delle Relazioni Industriali (rivista trimestrale già diretta da M. Biagi),
n. 2, 2007, Giuffrè Editore, Milano.
[1] L. 11/08/1973, n. 533. Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza di assistenza obbligatorie.
[2] Impulso processuale: nel processo civile di lavoro l’onere dell’impulso è innanzitutto a carico delle parti e ciò sia in primo che in secondo grado. Soltanto residualmente è consentito al Giudice di merito di intervenire con i suoi poteri (nel giudizio di Cassazione invece l’impulso processuale è soltanto di ufficio).
[3] Cass. Sez. Lav. del 05/04/2005 n. 7011.
[4] Cass. Sez. Lav. del 15/02/2005 n. 3004.
[5] Cfr. Montesano, Vaccarella: Manuale di diritto processuale del Lavoro, Ed. Novene 1989.
[6] Cass. Sez. Lav. 28/10/1989 n. 4525.
[7] Cass. Sez. Lav. 21/08/2004 n. 16529.
[8] Cfr. A. Carrato, A. Di Filippo: “Il processo del lavoro”, IL SOLE 24 ORE, 2001, 144-145.
[9] Cfr. R. Foglia : “Il processo del lavoro privato e pubblico di primo grado”, 2000, 359.
[10] Cass. Sez. Lav. 06/07/2000 n. 9034 (Deduzione implicita della parte di mezzi di prova: cd. “piste probatorie”).
[11] App. Roma Sez. Lav. 15/07/2005.
[12] Cass. Sez. Lav. 02/03/2006 n. 4611.
[13] Cass. Sez. V Pen. 11/10/2005.
[14] Cass. Sez. V Pen. 20/04/2001.
[15] Cass. SS. UU. penali, 17/10/2006 n. 41281.
[16] Si veda quanto accaduto nel giudizio di primo grado istruito integralmente “di ufficio” senza richiesta delle parti Trib. Taranto : Giudice del Lavoro sent. n. 4231/06 del 18/05/2006.
[17] Cass. Sez. Lav. 17/06/2004 n. 11353.
[18] Cass. Sez. Lav. 10/01/2006 n. 154.
[19] Cass. Sez. Lav. 08/08/2002 n. 12002.
[20] Cass. Sez. Lav. 23/05/2003 n. 8220.
[21] Cfr. G. Ianniruberto “Il processo del lavoro rinnovato”, CEDAM 2001, 160, in riferimento a Cass. Sez. Lav. 22/08/1997 n. 7881.
[22] Cass. Sez. Lav. 10/01/2005 n. 278.
[23] Cass. Sez. Lav. 10/01/2006 n. 154.
[24] Cass. Sez. Lav. 20/04/2005 n. 8202.
[25] Cass. Sez. Lav. 13/02/2006 n. 3047: “Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto non configurabile l’ipotesi eccezionale di una modificazione dei termini della controversia determinata dalla sentenza rescindente, e pertanto aveva ritenuto inammissibile la richiesta di produzione di nuovi documenti, non esercitabili i poteri istruttori di parte e neppure i poteri di ufficio, in quanto le relative richieste erano volte inammissibilmente non alla migliore valutazione di elementi istruttori già acquisiti, ma alla acquisizione di prove su fatti nuovi”.