Le novità in materia di pubblico impiego alla luce del D.lgs. n. 150 del 27.10.2009 (cd. Riforma Brunetta)
SOMMARIO1. Premessa: il rapporto di lavoro pubblico prima della cd. Terza Riforma del pubblico impiego. 2. Il rafforzamento del principio di concorsualità per l’accesso al pubblico impiego e le novità in materia di progressioni economiche e di carriera. 3. Prospettive di sviluppo del capitale umano nelle P.A.: nuovi profili di premialità e valutazione delle performance. 4. La dirigenza pubblica: ampliamento dei poteri e delle responsabilità. 5. Il riordino della contrattazione collettiva nel lavoro pubblico e le novità sulla contrattazione integrativa. 6. Considerazioni conclusive.
1. Premessa: il rapporto di lavoro pubblico prima della cd. Terza Riforma del pubblico impiego
Il D.Lgs 27 Ottobre 2009 n. 150 porta oggi a compimento la cd. Terza Riforma del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, dopo la prima stagione di privatizzazione operata con il D.Lgs. 29/1993 e la sostanziale riscrittura del sistema del lavoro pubblico culminata con il D.Lgs. 165/2001.
Con specifico riferimento alla materia del pubblico impiego va rilevato che il Decreto delegato Brunetta si innesta nell’ambito di un quadro normativo caratterizzato da una pluralità di fonti che concorrono ad individuare una disciplina di notevole complessità: dai principi costituzionali in materia di lavoro pubblico alle disposizioni della Legge delega 421/1992 e del D.Lgs. 165/2001, alla contrattazione collettiva.
Più precisamente, la materia del pubblico impiego nelle P.A. trova i suoi principi fondamentali direttamente nella Costituzione ed, in particolare, nell’art. 97 Cost. che, dopo aver sancito i pricipi secondo cui "i pubbliciuffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione" e "nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, òe attribuzioni e le responsabilitò proprie dei funzionari" dispone che agli impighi nelle pubbliche amministrazioni si acceda per concorso; inoltre, l'art. 51, comma 1, Cost. prevede che ai pubblici uffici si acceda secondo i requisiti stabiliti dalla legge.
Con la Legge delega del 23 ottobre 1992 n. 421, dalla quale ha preso le mosse l’ampia riforma del pubblico impiego, si è avviata la privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti.
Il D. Lgs. del 3 febbraio 1993 n. 29, successivamente emanato in forza della delega conferita con la citata Legge n. 421/1992, recava solo alcune disposizioni di principio in materia di accesso al lavoro e di avviamento al lavoro.
La successiva legge delega del 15 marzo 1997 n. 59 ha invece comportato una più accentuata razionalizzazione della materia, al fine di renderla più snella ed efficace, riducendo e semplificando le disposizioni di rango legislativo per far posto ad una successiva disciplina di dettaglio da emanarsi con regolamento governativo.
In particolare, le disposizioni sul reclutamento e l’accesso al lavoro, contenute in precedenza negli artt. 36 e 36bis del D. Lgs. n. 29 del 1993, sono state ora trasfuse nell’art. 35 del D. Lgs. del 30 marzo 2001, n. 165, il quale costituisce l’attuale disciplina generale di riferimento della materia dell’accesso al lavoro nelle amministrazioni pubbliche.
Al D. Lgs. n. 29 del 1993 ha fatto poi seguito una compiuta disciplina relativa al lavoro pubblico, rinvenibile sia nel D.Lgs. del 18 agosto 2000 n. 267, sia nei regolamenti governativi, sia negli atti normativi delle singole amministrazioni.
Invero, con l’avvento della privatizzazione del rapporto di lavoro, i contratti collettivi nazionali di ciascun comparto, a partire dal 1999, hanno previsto l’inquadramento in tre o quattro aree/categorie giuridiche, con la previsione all’interno di ciascuna area/categoria di differenziate posizioni economiche.
In ogni caso, le progressioni economiche e di carriera erano disciplinate dai contratti collettivi, che si limitavano a prevedere i requisiti di ammissione nelle procedure per i passaggi orizzontali o verticali, spesso consentendo delle selezioni legate quasi esclusivamente all’anzianità e con prove di dubbia selettività specie per quanto riguardava le progressioni verticali.
Inoltre, né la legge, né i contratti collettivi nazionali ponevano un limite certo alla percentuale di posti di organico destinati al concorso pubblico, stabilendo al massimo che si dovesse garantire un congruo accesso dall’esterno.
Tale indeterminatezza si poteva prestare ad abusi a livello di singole amministrazioni, laddove si fosse stabilita una percentuale da destinare all’esterno inferiore al 50%.
Dunque, le dissonanza dai principi costituzionali e dai criteri di cui al D.Lgs. 165/2001 erano chiare: mancanza di un chiaro limite alla riserva di posti per gli interni all’Amministrazione, progressioni economiche senza criteri certi di selettività basati solo sull’anzianità, progressioni di carriera anch’esse condotte con procedure selettive spesso inidonee a verificare il livello culturale e professionale per l’accesso all’area/categoria superiori come nel concorso pubblico, nell’ambito del quale i candidati con i quali misurarsi non sono solo interni e sono sempre in numero maggiore rispetto ai posti messi a concorso.
A molti dei menzionati inconvenienti si è cercato di rimediare con la Legge del 4 marzo 2009 n. 15, nonché con il relativo decreto legislativo di attuazione del 27 ottobre 2009 n. 150 “Attuazione della Legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle P.A.”, con i quali vengono stabiliti innovativi principi in materia di progressioni economiche e di carriera dei pubblici dipendenti.
In particolare, l’effettiva portata “riformatrice” delle ultime novelle legislative si può facilmente evincere dalle implicazioni applicative della riforma Brunetta con particolare riferimento: 1. alle nuove norme volte alla ridefinizione dei sistemi selettivi di attribuzione degli incentivi economici e delle progressioni di carriera; 2. all’innovato sistema permanente di misurazione e di valutazione delle prestazioni individuali e collettive; 3. all'ampliamento dei poteri e delle responsabilità della dirigenza; 4. alle nuove procedure per l’accesso alla dirigenza; 5. alla razionalizzazione delle procedure della contrattazione collettiva; 6. al rafforzamento degli strumenti disciplinari nei confronti dei pubblici dipendenti.
Nella riforma Brunetta, quindi, hanno trovato spazio temi e motivi tesi al rinnovamento delle amministrazioni pubbliche, quali i premi aggiuntivi per le performances di eccellenza e per i progetti innovativi, i criteri meritocratici per le progressioni economiche, l’accesso dei dipendenti migliori a percorsi di alta formazione. Il decreto prevede infatti l’attivazione di un ciclo generale di gestione della performance, per consentire alle amministrazioni pubbliche di organizzare il proprio lavoro in un’ottica di miglioramento della prestazione e dei servizi resi.
2. Il rafforzamento del principio di concorsualità per l’accesso al pubblico impiego e le novità in materia di progressioni economiche e di carriera
In attuazione della Legge delega del 4 marzo 2009 n. 15, il Decreto legislativo n. 150 del 27 ottobre 2009 ha introdotto una profonda riforma della disciplina del lavoro pubblico con particolare riferimento alla materia dei concorsi pubblici e delle progressioni interne, cui il legislatore del 2009 ha attribuito centrale rilievo nel tentativo di riformare il pubblico impiego modificando l’assetto dei rapporti sin dalla fase dell’assunzione (rectius: della selezione).
Mediante il D.Lgs. n. 150/2009, infatti, a tal proposito è stato previsto che:
1) le amministrazioni pubbliche, a decorrere dal 1.1.2010, coprono i posti disponibili nella dotazione organica attraverso concorsi pubblici, destinando, per la progressione di carriera dei propri dipendenti una riserva non superiore al 50% dei posti a favore del personale interno, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di assunzioni (cioè dell’art. 39 della L. n. 449/1997, del D.Lgs. 165/2001 e delle altre norme in materia di assunzioni contenute nelle leggi finanziarie ed in altre leggi speciali); l’attribuzione dei posti riservati al personale interno è finalizzata a riconoscere e valorizzare le competenze professionali sviluppate dai dipendenti, in relazione alle specifiche esigenze delle amministrazioni. Più precisamente, il nuovo testo dell’art. 52, comma 1bis del D.Lgs. 165/2001 al riguardo dispone che “le progressioni fra le aree avvengono tramite concorso pubblico, ferma restando la possibilità per l’amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50 per cento di quelli messi a concorso”. Correlativamente a tale requisito inerente al titolo di studio richiesto anche al personale interno per la partecipazione ai concorsi per l’accesso alle categorie superiori, sarà fondamentale – per esempio, nella prospettiva della stipulazione di convenzioni tra le amministrazioni e le Università - l’applicazione dell’art. 26 del D.Lgs. 150/2009 in base al quale le amministrazioni valorizzano le professionalità sviluppate dai dipendenti interni e a tal fine promuovono l’accesso privilegiato dei dipendenti ai percorsi di alta formazione in primarie istituzioni educative e nazionali;
2) le amministrazioni pubbliche devono riconoscere selettivamente le progressioni economiche ad una quota limitata di dipendenti in relazione allo sviluppo delle competenze professionali ed ai risultati individuali e collettivi rilevati dal sistema di valutazione, sulla base di quanto previsto dai contratti collettivi nazionali e integrativi di lavoro e nei limiti delle risorse disponibili;
3) la collocazione nella fascia di merito alta disciplinata dall’art. 19, comma 2, lett. a) del Decreto delegato, per 3 anni consecutivi ovvero per 5 annualità anche non consecutive, costituisce titolo prioritario ai fini dell’attribuzione delle progressioni economiche e titolo rilevante ai fini della progressione di carriera.
Con specifico riferimento alle nuove regole volte alla ridefinizione dei sistemi innovativi di attribuzione selettiva degli incentivi economici e di carriera, coerentemente con quanto evidenziato dalla Corte Costituzione (cfr. ex plurimis Corte Cost. n. 380/2004, n. 159/2005; n. 154/2006) si è perseguito quindi l’obiettivo di portare a compimento un sistema professionale pubblico non più basato sulle carriere - nell’ambito delle quali il passaggio ad una qualifica superiore della medesima carriera era consentito, di regola, con un sistema diverso dal pubblico concorso – ma sulle qualifiche funzionali e profili professionali. Quest’ultima tipologia di ordinamento presuppone, infatti, nel caso di passaggio ad una qualifica superiore, il conseguimento di un vero e proprio nuovo posto di lavoro per accedere al quale occorre superare di regola un concorso pubblico effettivamente idoneo a verificare il livello culturale e professionale dei candidati.
3. Prospettive di sviluppo del capitale umano nelle P.A.: nuovi profili di premialità e valutazione delle performance
Elemento strategico del processo di riforma avviato dalla L. n. 15/2009, attuata dal D. Lgs. n. 150/2009, è da individuarsi nella definizione di un complesso sistema di valutazione delle strutture dei dipendenti (art. 2, comma 1), alternativo rispetto ai ben noti strumenti di valutazione dei costi e dei risultati dettati dal D. Lgs. del 30.7.99 n. 286.
In particolare, costituisce oggetto precipuo di valutazione la c.d. performance, così potendosi intendere il grado con il quale un sistema realizza gli obiettivi definiti e ad esso assegnati.
A tale stregua, deve sottolinearsi, fin da subito ed in via generale, la stringente correlazione tra definizione degli obiettivi e misurazione della performance: infatti, per espressa disposizione dell’art. 5, comma 1, D. Lgs. n. 150/2009, il conseguimento degli obiettivi “costituisce condizione per l’erogazione degli incentivi previsti dalla contrattazione collettiva”.
Architrave del nuovo sistema di valutazione è il c.d. “ciclo di gestione della performance” disciplinato dal Capo II del Titolo II del succitato Decreto.
Il tratto essenziale del ciclo di gestione della performance è segnato dalla ciclicità delle fasi che lo compongono: in particolare, tale ciclo ha inizio con una prima fase caratterizzata per un verso dalla definizione e assegnazione degli obiettivi che si intendono raggiungere e, per altro verso, dalla correlata allocazione delle risorse (umane, strumentali e finanziarie disponibili).
A tale fase ne segue una seconda deputata, per un verso al monitoraggio e alla valutazione, sulla base degli indicatori predefiniti, delle performance organizzative ed individuali (cioè del grado di raggiungimento del risultato perseguito) e finalizzata, per altro verso, all’utilizzo dei sistemi premianti secondo i criteri di valorizzazione del merito.
Terza ed ultima fase è data dalla rendicontazione sociale ed istituzionale dei risultati conseguiti, per via della comunicazione di questi tanto agli organi di indirizzo politico-amministrativo ed ai vertici delle P.A., quanto ai competenti organi esterni, ai cittadini, ai soggetti interessati, agli utenti e destinatari dei servizi.
Inoltre, il ciclo di gestione della performance deve essere sviluppato in maniera coerente con i contenuti e con il ciclo della programmazione finanziarie e del bilancio.
Come innanzi accennato, la chiave di volta del ciclo di gestione della performance è costituita dall’individuazione degli obiettivi: ai sensi dell’art. 5 del Decreto in esame, gli obiettivi sono programmati su base triennale (comma 1), ma concretamente devono essere “riferibili ad un arco temporale determinato, di norma corrispondente ad un anno” (comma 2 lett. d).
Gli obiettivi sono formalmente definiti dagli organi di indirizzo politico-amministrativo, sentiti i vertici dell’amministrazione che a loro volta consultano i dirigenti o i responsabili delle unità organizzative e devono presentare le caratteristiche di cui al comma 2, lett. a)-g). Inoltre, devono essere formalizzati entro il 31 gennaio in un documento programmatico triennale denominato “Piano della performance”.
Nel Piano delle performance devono essere analiticamente individuati gli indirizzi e gli obiettivi strategici ed operativi, gli obiettivi assegnati al personale dirigenziale, e devono inoltre essere definiti con riferimento tanto agli obiettivi finali ed intermedi, quanto alle risorse disponibili, gli indicatori per la misurazione e valutazione della performance organizzativa dell’amministrazione e di quella dirigenziale.
L’amministrazione interessata è tenuta a trasmettere il Piano delle performance alla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità, ed al Ministero dell’economia e delle finanze.
Per l’ipotesi della mancata adozione del Piano delle performance è fatto divieto di erogare la retribuzione di risultato ai “dirigenti che risultano aver concorso alla mancata adozione del Piano, per omissione o inerzia nell’adempimento dei propri compiti”. Inoltre, alla P.A. è fatto divieto di “procedere ad assunzioni di personale o al conferimento di incarichi di consulenza o di collaborazione comunque denominati”.
Gli organi di indirizzo politico-amministrativo, grazie anche al supporto dei dirigenti, verificano l’andamento delle performance avvalendosi delle risultanze dei sistemi di controllo di gestione presenti nella amministrazione.
La valutazione annuale delle performance è invece affidata al Sistema di misurazione e valutazione della performance, il quale deve essere adottato da ciascuna PA mediante apposito provvedimento.
Al riguardo, occorre segnalare che il legislatore della riforma per un verso (cfr. art. 30), ha abrogato l’art. 5 del D.Lgs. n. 286/99 relativo alla valutazione del personale con incarico dirigenziale, ma non già i sistemi di controllo di gestione di cui all’art. 4 D.Lgs. n. 286/99 destinati a verificare l’efficacia, l’efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, per altro verso, ha previsto che i servizi di controllo interno siano sostituiti dall’Organismo indipendente di valutazione della performance e che a questo siano anche affidate le attività di controllo strategico.
Gli artt. 8 e 9 del D. Lgs. n. 150/2009, definiscono rispettivamente gli ambiti di misurazione e valutazione della performance organizzativa ed individuale, tanto dei dirigenti e del personale responsabile di una unità organizzativa, quanto del personale impiegatizio.
Fra i parametri di misurazione e valutazione della performance meritano di essere segnalati i seguenti: per la performance organizzativa, il grado di incidenza delle politiche pubbliche attuate sulla soddisfazione finale dei bisogni della collettività; per la performance dirigenziale, le competenze professionali e manageriali espresse nonché la capacità di valutazione dei propri collaboratori; per le performance del personale, le competenze dimostrate ed i comportamenti professionali ed organizzativi.
All’esito del percorso di valutazione e comunque entro il 30 giugno deve essere poi redatta la Relazione sulla performance deputata ad evidenziare i risultati organizzativi ed individuali raggiunti rispetto agli obiettivi programmatici ed alle risorse.
La funzione di misurazione e valutazione di ciascuna struttura amministrativa competono all’Organismo indipendente di valutazione della performance, con la partecipazione della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità, dei dirigenti e degli organi di indirizzo politico amministrativo.
In effetti, ogni amministrazione, singolarmente o in forma associata, dovrà dotarsi dell’Organismo indipendente di valutazione della performance entro il 30 aprile 2010.
Nell’ambito dei soggetti del processo di valutazione e misurazione della performance di cui al Capo IV del D. Lgs.150/09 vanno considerati altresì gli organi di indirizzo politico-amministrativo e i dirigenti.
Un ruolo essenziale è svolto anche dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità, disciplinata dall’art. 13 del D. Lgs. 150/2009, e la cui costituzione dovrebbe aver luogo entro 30 giorni dall’approvazione del decreto medesimo.
La Commisssione, presso la quale è istituita una Sezione per l’integrità nelle P.A., opera “in posizione di indipendenza di giudizio e in piena autonomia” ed ha il compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all’esercizio delle funzioni di valutazione, di garantire la trasparenza dei sistemi di valutazione.
L'applicazione del sistema delineato nel Titolo II del Dl. Lgs. n. 150/2009 nell'ambito del sistema delle autonomie costituzionalmente tutelate (es. Regioni ed Enti locali) ha carattere diretto ed immediato solo per quanto riguarda le disposizioni di cui ai commi 1 e 3 dell’art. 11: il primo è relativo alla qualificazione della trasparenza, intesa come accessibilità totale; il secondo attiene all’obbligo di garantire la massima trasparenza in ogni fase del ciclo di gestione della performance.
In particolare, le Regioni e gli enti locali sono tenute ad adeguare i propri ordinamenti ai principi contenuti negli artt. 3 (principi generali), 4 (ciclo di gestione della performance), 5, comma 2 (caratteri degli obiettivi), 7 (sistema di misurazione e di valutazione delle prestazioni), 9 (ambiti di misurazione della performance individuale) 15, comma 1 (responsabilità).
Il legislatore ha assegnato alle predette amministrazioni un termine massimo per provvedere al predetto adeguamento (31.12.2010) superato il quale troverà applicazione diretta la disciplina di cui al D. Lgs. n. 150/2009.
Inoltre, si è previsto che la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità, congiuntamente alla Conferenza delle Regioni e Province Autonome, all’Anci e all’UPI definisca dei Protocolli di collaborazione per la realizzazione delle attività proprie della Commissione in questione.
In tale prospettiva il Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione e l’Anci hanno sottoscritto in data 09.10.09 un Protocollo d’intesa per la valorizzazione del merito e della produttività del lavoro pubblico locale, avente il fine principale di consentire una immediata sperimentazione dei sistemi di valutazione della performance nel sistema delle autonomie locali.
4. La dirigenza pubblica: ampliamento dei poteri e delle responsabilità
Tra le novità introdotte dal D.Lgs. 150/2009, merita particolare attenzione il nuovo assetto dei poteri e delle responsabilità dei dirigenti.
In particolare, fra i nuovi poteri dirigenziali vanno annoverati: 1) la valutazione del personale in piena autonomia ai fini dell’erogazione dei trattamenti accessori e incentivanti della progressione professionale verticale tra le aree e orizzontale (economica); 2) il potere disciplinare per le sanzioni conservative (sospensione fino a 10 gg. e salve le competenze dell’Ufficio procedimenti disciplinari); 3) l’individuazione delle competenze e delle professionalità necessarie allo svolgimento dei compiti dell’ufficio e potere di proposta anche ai fini della programmazione triennale dei fabbisogni; 4) la mobilità del personale all’interno dell’ufficio secondo criteri oggettivi e di trasparenza.
Relativamente a tale ampliamento di poteri, va tuttavia evidenziata una contraddizione: infatti, se da una parte si rivendica una maggiore autonomia, con correlativa responsabilità della dirigenza, dall’altra è stata introdotta una iper-regolazione legislativa della gestione che in concreto non può che comprimere gli spazi dei dirigenti.
Ciò posto, va evidenziato che il generale ampliamento dei poteri e delle responsabilità dei dirigenti ha trovato applicazione soprattutto nell’ambito del nuovo sistema di responsabilità disciplinare. Il citato D. Lgs. n. 150/2009, infatti, ha stabilito una semplificazione dei procedimenti disciplinari ed un incremento della loro funzionalità, soprattutto attraverso l’estensione dei poteri del dirigente della struttura in cui il dipendente presta la propria attività lavorativa. La Riforma in esame ha previsto, altresì, la riduzione e la perentorietà dei termini del procedimento, il potenziamento dell’istruttoria, l’abolizione dei Collegi arbitrali di impugnazione, la presunzione di conoscenza del Codice disciplinare pubblicato sul sito dell’Ente e un catalogo di infrazioni particolarmente gravi, assoggettate al licenziamento, suscettibile di essere ampliato ma non diminuito in sede di contrattazione collettiva.
Invero, gli artt. da 55 a 55octies del D.Lgs. 165/2001 (art. 68 e 69 del D.Lgs. 150/2009) costituiscono norme imperative, espressioni di potestà legislativa esclusiva, con il ché, nella materia relativa alle sanzioni disciplinari, la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge.
Orbene, con particolare riferimento alle violazioni che comportano la responsabilità disciplinare dei dipendenti pubblici, va rilevato che per le infrazioni per le quali la sanzione prevista è superiore al rimprovero verbale (ossia per il rimprovero scritto o censura e nel caso della multa fino a quattro ore di retribuzione) e inferiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di dieci giorni (e dunque per la maggior parte delle sanzioni c.d. conservative) il Dirigente della struttura in cui il dipendente che ha commesso l’infrazione presta la propria attività lavorativa – senza indugio e comunque non oltre 20 giorni da quando abbia avuto notizia dei comportamenti punibili con la sanzione indicata – ha l’obbligo di contestare l’addebito per iscritto al dipendente e di convocarlo per il contraddittorio a difesa. La convocazione deve avvenire con un preavviso di almeno 10 giorni ed entro il termine fissato il dipendente dovrà presentarsi o inviare memoria scritta. Il responsabile della struttura, dopo l’ulteriore attività istruttoria, conclude il procedimento con l’archiviazione o la sanzione entro 60 giorni dalla contestazione di addebito. Diversamente, per le infrazioni che comportano sanzioni più gravi della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di 10 giorni, il Dirigente della struttura trasmette gli atti all’Ufficio per i procedimenti disciplinari entro cinque giorni dalla notizia del fatto dandone contestuale comunicazione all’interessato.
Invero, a fronte della netta accentuazione del potere disciplinare in capo ai singoli dirigenti di struttura, è stata prevista una maggiore responsabilità in capo ai medesimi: il comma 3 dell’art. 55sexies, infatti, stabilisce che nel caso in cui chi ha qualifiche dirigenziali ometta o ritardi l’esercizio dell’azione disciplinare senza giustificato motivo, oppure esprima valutazioni sull’insussistenza dell’illecito disciplinare manifestamente infondate o irragionevoli, sarà soggetto all’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione in proporzione alla gravità dell’infrazione non perseguita, fino ad un massimo di tre mesi in relazione alle infrazioni sanzionabili con il licenziamento; sarà soggetto, altresì, alla mancata attribuzione della retribuzione di risultato per un importo pari a quello spettante per il doppio del periodo della durata della sospensione.
Oltre alle prerogative dirigenziali relative al rapporto tra dirigente e personale assegnato all’ufficio di cui ha la titolarità, particolarmente importanti sono le previsioni introdotte con la riforma Brunetta al fine di valorizzare la meritocrazia e la professionalità manageriale della dirigenza, in ordine alla formazione e l’accesso alla carriera dirigenziale: in particolare, nel tentativo di valorizzare il merito e la competenza, è stato subordinato il passaggio (selettivo, non più automatico) dalla seconda alla prima fascia della dirigenza alla permanenza all’estero per un certo periodo, al fine di consentire al dirigente di acquisire particolari ‘skills’ a cui può pervenirsi soltanto mediante il confronto con altre culture e ordinamenti.
Di assoluto rilievo sono poi le innovazioni introdotte in materia di conferimento e revoca degli incarichi, volte ad attuare pienamente il principio di distinzione tra funzioni di indirizzo e controllo rimesse agli organi di governo, e funzioni di gestione riservate alla dirigenza.
Sempre nell’ambito delle novità inerenti ai poteri datoriali del dirigente pubblico va, inoltre, rilevata in via generale la piena autonomia del dirigente, nella sua qualità di soggetto che esercita i poteri del datore di lavoro pubblico nella gestione delle risorse umane, rispetto al sindacato: è stato infatti previsto un argine per la contrattazione sull’organizzazione e i poteri dirigenziali (cfr. il nuovo art. 40, D. Lgs. n. 165/2001).
Sono state introdotte, infine, specifiche incompatibilità per i dirigenti: non possono essere conferiti incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione di personale a soggetti che rivestano o abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali.
5. Il riordino della contrattazione collettiva nel lavoro pubblico e le novità sulla contrattazione integrativa
Il D. Lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009 ha introdotto una profonda riforma della disciplina del lavoro pubblico, anche all'insegna di una razionalizzazione delle procedure della contrattazione collettiva.
In particolare, in merito al sistema delle fonti, va rilevato che si è puntato ad una espansione dell’area della competenza legislativa sulle materie del rapporto di lavoro e delle relazioni sindacali. Correlativamente, è stato ridimensionato il ruolo della contrattazione collettiva, la quale, ai sensi dell’innovato art. 40 del D.Lgs. 165/2001, “determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro nonché alle materie relative alle relazioni sindacali”. Infatti, pur restando salva la competenza esclusiva della contrattazione collettiva in materia di trattamenti retributivi fondamentali, in materia di valutazione ai fini del trattamento economico accessorio, mobilità, progressioni economiche e sanzioni disciplinari, la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalla legge.
Nell’ambito della ridefinizione degli ambiti riservati rispettivamente alla legge e alla contrattazione collettiva operata dalla riforma in esame, assumono particolare rilievo alcuni fondamentali principi orientativi: la convergenza degli assetti regolativi del lavoro pubblico con quelli del lavoro privato con particolare riferimento al sistema delle relazioni sindacali; il miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia delle procedure della contrattazione collettiva mediante la previsione di specifiche scadenze temporali per la contrattazione; il rafforzamento dei controlli interni ed esterni sulla contrattazione; la selettività nell’erogazione delle risorse da parte dei contratti collettivi.
In particolare, la contrattazione collettiva disciplina, in coerenza con il settore privato, la struttura contrattuale, i rapporti fra i diversi livelli e la durata dei contratti collettivi nazionali integrativi (Accordo quadro 30 Aprile 2009).
Le P.A. attivano autonomi livelli di contrattazione integrativa nel rispetto dei vincoli di bilancio. La contrattazione integrativa è finalizzata ad assicurare adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l’impegno e la qualità della prestazione individuale e collettiva del personale attraverso trattamenti economici accessori (art. 2 L. n. 203/2008).
Le risorse per gli incrementi retributivi per il rinnovo dei contratti collettivi nazionali delle amministrazioni regionali e locali sono definite dal governo, nel rispetto dei vincoli di bilancio, del patto di stabilità o di analoghi strumenti.
I trattamenti economici sono legati al raggiungimento di risultati programmati, ovvero allo svolgimento di attività che richiedono particolare impegno e responsabilità.
La contrattazione integrativa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai C.C.N.L. tra i soggetti e con le procedure che questi ultimi prevedono, mentre i C.C.N.L. determinano i criteri e limiti finanziari entro i quali si deve svolgere la contrattazione integrativa.
Le P.A. regionali e gli enti locali possono destinare risorse aggiuntive alla contrattazione aggiuntiva nei limiti di quanto stabilito della contrattazione nazionale e nei limiti di virtuosità fissati per la spesa del personale, dei vincoli di bilancio e del patto di stabilità. Lo stanziamento di tali risorse aggiuntive è correlato all’effettivo rispetto dei principi in materia di misurazione e valutazione delle performance e in materia di meriti e premi applicabili a regioni ed enti locali.
I contratti nazionali definiscono, inoltre, il termine delle sessioni negoziali in sede decentrata, ma se non si raggiunge l’accordo la P.A. può provvedere in via provvisoria sulle materie oggetto del mancato accordo fino alla successiva sottoscrizione (art. 40 comma 3ter).
Entro il 31/12/2010 è stato fissato l’adeguamento dei contratti alla nuova ripartizione per materia e alle disposizioni in materia di merito e premialità. In mancanza, i contratti integrativi cessano di avere efficacia dal 1 gennaio 2011 e non possono più essere applicati. Per Regioni e Autonomie locali i termini slittano rispettivamente al 31 dicembre 2011 e al 31 dicembre 2012.
Le PA non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi in contrasto con i vincoli e con i limiti risultanti dai CCNL o che disciplinano materie non espressamente delegate a tale livello negoziale ovvero che comportano oneri non previsti dalla programmazione annuale pluriennale.
In caso di violazione di tali vincoli le clausole sono nulle, non possono essere applicate e sono sostituite ai sensi degli artt. 1339 e 1419 comma 2 c.c..
Inoltre, le P.A. hanno l’obbligo di pubblicare sul loro sito istituzionale i contratti integrativi con la relazione tecnico finanziaria e quella illustrativa, così come certificate dagli organi di controllo interni (revisori). In caso di mancato adempimento, oltre ad essere previste sanzioni disciplinari in capo ai responsabili, è fatto divieto alle PA di procedere a qualsiasi adeguamento delle risorse destinate alla contrattazione integrativa.
Va da ultimo evidenziato che la giurisprudenza della Corte dei Conti ha sottolineato la configurabilità di un danno da contrattazione collettiva ed una responsabilità diffusa tra delegazione trattante di parte pubblica, RSU e RSA, amministratori, revisori, e coloro che applicano le clausole nulle (dirigenti). Relativamente a questi ultimi, inoltre, in coerenza con il descritto contesto di ampliamento dei poteri e delle responsabilità dei dirigenti, è stato previsto un argine per la contrattazione collettiva sull’organizzazione e i poteri dirigenziali (cfr. il nuovo art. 40, D. Lgs. n. 165/2001).
6. Considerazioni conclusive
L'esame e l'esposizione della normativa e della giurisprudenza sul lavoro pubblico, pur fornendo indispensabili contributi conoscitivi peculiari e specifici, non consente tuttavia di verificare la coerenza delle norme introdotte rispetto agli obiettivi che esse intendono dichiaratamente perseguire ai sensi dell’art. 1, comma 2, D.Lgs. n.150/2009.
Al fine di poter giungere ad un siffatto ordine di valutazioni, non si può prescindere, infatti, da un bilancio complessivo in ordine alla effettiva tangibilità, a seguito della Riforma Brunetta, dell’auspicato incremento dell’efficienza del lavoro pubblico, degli elevati standard qualitativi ed economici delle funzioni e dei servizi, dell’incentivazione della qualità della prestazione lavorativa e del contrasto alla scarsa produttività perseguiti con il menzionato D.Lgs. 27 Ottobre 2009, n. 150.
Invero, tale bilancio, che soltanto l’applicazione nel tempo delle nuove disposizioni normative emanate potrà consentire, costituisce presupposto indefettibile per l’individuazione e la definizione delle “criticità” del sistema e conseguentemente, in una prospettiva de iure condendo, per la formulazione di ipotesi di intervento (normativo e/o organizzativo) volte ad eliminare o ridurre gli eventuali aspetti di impatto negativo.
Sarà quindi necessario evidenziare nell’ambito degli innovativi istituti introdotti - premi aggiuntivi per le performances di eccellenza e per i progetti innovativi; criteri meritocratici per le progressioni economiche; accesso dei dipendenti migliori a percorsi di alta formazione; innovativi principi in materia di progressioni economiche e di carriera dei pubblici dipendenti ecc. - quelli che hanno trovato un’applicazione maggiormente significativa in quanto effettivamente dimostratisi idonei a produrre rilevanti effetti generali in termini di incentivazione della qualità della prestazione lavorativa e di efficienza del lavoro pubblico.
Anche sotto tale profilo, peraltro, la comparazione del modello del pubblico impiego, con quello del “lavoro privato”, costituirà elemento utile al fine di definire ulteriori profili di “sostenibilità (di riforma) del pubblico impiego”.
In tale prospettiva, la riforma Brunetta pone interessanti interrogativi volti a comprendere, da un lato, la coerenza delle norme introdotte rispetto all’obiettivo del passaggio anche nell’ambito del pubblico impiego dalla cultura di mezzi a quella di risultati, dall’altro, l’effettiva capacità di tale nuovo assetto normativo di portare a compimento l’ormai indispensabile rinnovamento delle amministrazioni pubbliche italiane.
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LEGISLAZIONE DI RIFERIMENTO: